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Era l’una e mezza di notte, quando Topolino e Paperinik ritornarono al centro commerciale in costruzione. O qualsiasi cosa fosse, visto che a quanto pareva era solo una copertura per altre attività.
Avevano lasciato l’auto in uno dei molti nascondigli che Paperinik aveva in giro per la città, tutti di proprietà di zio Paperone. Ora erano di nuovo nel palazzo davanti al centro, a tentare di trovare una maniera di entrare che non li portasse a diventare bersagli troppo visibili. Dopo una breve perlustrazione con il binocolo, si spostarono dall’altra parte dell’edificio. Il risultato però fu lo stesso: troppa sorveglianza. Ora che sapevano dove cercare, la presenza di guardie, telecamere e sistemi d’allarme era fin troppo evidente.
– Ascolta, qui lo sai come va a finire, è inutile che ci giriamo intorno, – disse Paperinik.
– Le fogne, – disse Topolino, con una faccia non proprio felice.
– Le fogne, – confermò Paperinik.
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– Ma perché in questo lavoro si finisce sempre a farsi largo nella merda? –
– Non lo dire a me. Ormai conosco il sistema fognario di Topolinia meglio di quanto conosca il mio giardino. –
– Potevamo volare sopra al centro con la mia 313 e lanciarci da lì col paracadute. –
– Ne abbiamo già parlato: ci avrebbero visti, lo sai. –
– Lo so, ma mi piace lamentarmi lo stesso. –
Topolino sbuffò. Almeno questa volta era in compagnia. L’ultimo anno per lui era stato tutto un viaggio nelle fogne, e da solo. Avere Paperinik al fianco rendeva le cose un po’ meno brutte.
Un altro vantaggio di essere assieme ad un supereroe che aveva Archimede come amico, era l’assenza totale del rischio di perdersi. Il GPS che il papero col mantello aveva tra le mani non sembrava avere problemi di copertura di rete neanche sotto un centro commerciale. Topolino lo seguiva facendosi luce con una torcia, mentre lui procedeva senza esitazioni avanti e ancora avanti. Tunnel alti, tunnel bassi, canalette infime, tubi in cui infilarsi a gattoni: se non avesse indossato la tuta impermeabile che Paperinik gli aveva prestato, di sicuro si sarebbe arreso dopo pochi metri. In questa situazione invece, con la faccia coperta da occhiali e maschera, Topolino riusciva a proseguire senza essere troppo schifato dal procedere negli scarichi dell’intera città. Quasi, visto che la maschera lasciava passare comunque la puzza infernale.
Alla fine non dovettero percorrere poi così tanta strada nelle fogne, ma entrambi furono felici quando il GPS li avvertì che erano finalmente sotto uno dei tombini del parcheggio del centro commerciale. Paperinik fece segno a Topolino di fermarsi e di restare in silenzio, mentre estraeva da una delle sue numerose tasche un cavo collegato ad una piccola scatoletta nera. Toccò un tasto e il cavo divenne rigido, abbastanza da poterlo sollevare e farlo passare attraverso uno dei buchi del tombino sopra di loro. Paperinik premette un altro tasto e la console si aprì in due, mostrando un piccolissimo schermo da una parte e una serie di comandi dall’altra. Premendo alcuni bottoni e maneggiando delle levette, Topolino vide prima il cavo animarsi e girarsi da una parte all’altra, e poi lo schermo accendersi. Quello che si poteva vedere era il parcheggio del centro commerciale e, man mano che il cavo girava, la telecamera sistemata all’estremità lo mostrava da tutte le angolazioni possibili.
Sopra di loro, a sinistra, c’era una guardia, per cui dovettero spostarsi più avanti e provare da un altro tombino. Anche da quello risultò impossibile uscire a causa di un’altra guardia armata appoggiata ad una colonna lì vicino. Con il terzo tombino non furono più fortunati, ma con il quarto sì: non c’era nessuno in vista. Poterono finalmente tirare fuori un altro degli aggeggi meravigliosi di Archimede (una scala avvolgibile che da sola poteva aprirsi e rimanere rigida e in equilibrio) e piazzarla sotto il chiusino. Spostarono la grata il più silenziosamente possibile, ricontrollarono di avere campo libero, e finalmente uscirono da quella puzza infernale. Si nascosero dietro una colonna, si tolsero di dosso le tute e le maschere e le nascosero dietro un bidone della spazzatura. Nessuno dei due aveva intenzione di ritornare passando per le fogne, ma non si poteva mai sapere.
Poi fu solo questione di movimenti silenziosi, segnali altrettanto silenziosi e una decina di proiettili anestetizzanti. Il parcheggio fu a loro disposizione nel giro di un quarto d’ora, mentre tutte le guardie si trovarono a dormire profondamente. Non avevano visto telecamere, per cui da quel punto di vista erano al sicuro da sorprese, ma prima o dopo qualcuno avrebbe tentato di contattare i begli addormentati, e allora la situazione si sarebbe fatta problematica.
Paperinik tirò di nuovo fuori il suo GPS e cominciarono a perlustrare il centro commerciale. Non avevano abbastanza munizioni per tutti, per cui dovevano fare attenzione e rimanere al coperto finché non avessero trovato quello che cercavano. La questione però rimaneva: cosa stavano cercando? Doveva essere certamente qualcosa di grande, altrimenti non avrebbero avuto bisogno di un intero centro commerciale per nasconderla, e doveva essere qualcosa di importante, altrimenti perché tutti quegli uomini e quei sistemi di sicurezza?
Il ragionamento li portò a dirigersi verso le zone più interne e quelle con più spazio libero. Il GPS si rivelò fondamentale per evitare di perdersi tra i locali vuoti e per sapere come muoversi senza rivelare la loro posizione. Partirono dal primo piano e si mossero verso l’alto, senza però trovare niente nei primi quattro livelli. Ormai convinti che la soluzione al mistero si trovasse al quinto e ultimo piano dell’edificio, i due salirono a scoprire se avevano ragione.
Quello che videro appena misero fuori il naso dalla porta delle scale fu un ammasso di nylon. Strisce e strisce di plastica nera, larghe poco più di un metro, scendevano dal soffitto, coprendo la vista su ogni lato e nascondendo così ogni possibile insidia.
Topolino e Paperinik si guardarono e senza dire una parola si addentrarono in quella foresta di plastica nera. Entrambi sapevano che il rischio qui era molto più serio di prima, ed entrambi capivano che se avesse dovuto esserci una trappola, quello era il posto in cui sarebbero stati presi. Comprendevano però anche che dovevano andare avanti: sentivano che la soluzione di tutto era lì, davanti a loro.
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Le tende di nylon nere sembravano non finire mai, e dietro di ognuna avrebbe potuto esserci qualcuno in agguato. Il cuore di Topolino sembrava volergli uscire dal petto, e il respiro era faticoso mentre seguiva il suo amico sempre in testa. Paperinik non sembrava essere comunque più tranquillo, mentre con passo felpato spostava l’ennesimo pezzo di plastica. Una luce accecante li colpì in faccia, e mentre avanzavano proteggendo gli occhi con una mano, si resero conto di essere finalmente fuori da tutti i tendaggi.
Davanti a loro c’era un’enorme stanza circolare con le pareti di vetro scuro opacizzato. Fuori dalla stanza due riflettori erano puntati esattamente verso il punto da cui erano usciti, ma tutto attorno non c’era nessuno, anche se a questo punto si sarebbero aspettati almeno una ventina di delinquenti armati con i mitra puntati verso di loro.
– A me questa sembra tanto una trappola, – sussurrò Topolino.
– Ma davvero? – rispose Paperinik.
Facendo una smorfia Topolino avanzò verso la parete di vetro di fronte a lui. La toccò, quasi con la paura di prendere la scossa, e quando non accadde nulla, provò a spingere. Non si mosse.
– Di solito si entra dalle porte, e quella non mi sembra una porta, sai, – gli disse il suo compagno.
– Ma davvero? – rispose lui.
Senza girarsi, ma con un piccolo ghigno in volto, iniziò a seguire il perimetro della stanza, premendo ogni tanto la parete, alla ricerca di un’entrata nascosta. Non aveva forse molto senso, ma se fossero riusciti ad evitare di entrare dalla porta principale, magari avrebbero evitato anche la probabile trappola. Paperinik lo seguì, anche lui con un sorrisetto in faccia, ma con la pistola in pugno e gli occhi che danzavano in tutte le direzioni, sperando di scovare il pericolo prima che questo gli mordesse le chiappe.
Alla fine tutti gli sforzi furono inutili: non c’era nessuna porta nascosta, e fuori da quella stanza non c’era nessuno in agguato. Arrivarono finalmente all’entrata, dove però non c’era una vera e propria porta, ma un’altra pesante tenda di nylon nero. Paperinik passò di nuovo al comando e disse:
– Non so te, ma io mi sono rotto. –
E si lanciò dentro la stanza senza aspettarlo. Topolino imprecò e lo seguì, pronto a tutto, ma, come avrebbe scoperto a breve, non abbastanza.
Ciò che li aspettava dentro la stanza era, partendo dalla cosa meno importante per loro in quel momento:
– un enorme macchinario dall’aria futuristica, pieno di luci, schermi e tubi da cui usciva fumo, come in un film di fantascienza di serie B;
– almeno una decina di persone in camice bianco e dall’aria impegnata che lavoravano attorno al macchinario;
– almeno una ventina di persone con armi automatiche puntate contro di loro;
– un tizio enorme dall’aspetto rapace e un abito più futuristico del macchinario alle sue spalle;
– qualcuno che sembrava proprio Macchia Nera.
Appena Topolino si rese conto di ciò che stava vedendo, non ebbe esitazione. Si lanciò contro la guardia più vicina, la mise a terra spezzandogli il collo e prendendo nel contempo il mitra. Poi lo puntò contro Macchia Nera, ma prima di riuscire a premere il grilletto venne sbattuto sul pavimento e spedito nel mondo dei sogni con un calcio alla testa.
Quando si svegliò (ma perché ce l’hanno tutti con la mia testa?) fu chiaro che era passato qualche minuto. Paperinik era legato ad una sedia di fianco a lui, e si agitava inutilmente tentando di liberarsi. Lui si rese conto di essere seduto e bloccato allo stesso modo, anche se era privo della benché minima forza di fare altro che guardarsi attorno. Alla vista però di Macchia Nera, in piedi a pochi metri da lui, si sentì invadere da una furia infinita, e iniziò anche lui a lottare, sul punto di esplodere attraverso le corde che lo stringevano. Saliva gli uscì dalla bocca, mentre bestemmiava e malediceva la bestia che gli aveva portato via Minni. Non ragionava più, non pensava a quello che diceva: Topolino era posseduto dal demone dell’ira e se fosse stato libero avrebbe probabilmente strappato a morsi la gola del suo nemico.
Questi, apparentemente impassibile dietro alla sua maschera, gli si avvicinò e gli tirò un manrovescio che quasi gli spaccò la mascella. Ebbe però anche l’effetto di calmarlo, e mentre cominciava già a gonfiarsi in faccia, fu contento di vedere Macchia Nera che si stringeva la mano con cui l’aveva colpito. Schiaffi del genere vanno bene solo per i film, se non hai la mano di un muratore, ma lo stronzo in nero non l’aveva mai imparato. Topolino lasciò che un sorriso doloroso gli piegasse le labbra, poi sputò sangue a terra ed esaminò la situazione.
Dopo lunghi secondi l’unica conclusione fu che la situazione era uno schifo e, se qualcuno non fosse arrivato in fretta, lui e Paperinik sarebbero stati fottuti.
Le due sedie a cui erano legati erano appoggiate a una delle pareti di vetro, e le corde erano legate così strette che già iniziava a non sentire più piedi e mani. A pochi metri stava un manipolo di guardie con i mitra puntati, e dietro di loro c’erano Macchia Nera e l’altro tizio che lui non conosceva. Non molte vie d’uscita, tutto considerato.
Dopo poco anche Paperinik smise di agitarsi contro le corde, fissò il tizio enorme e disse:
– Cosa ci fai tu, qui? –
Lui sorrise, quasi gongolante, e disse:
– Tu non sai da quanto io stia progettando e lavorando per arrivare a questo momento, in questo modo e in questo luogo. Quanto bravi siete stati ad aver seguito tutte le briciole che vi ho lasciato, eh? Non pensavo sarebbe stato così facile attirarvi fino a qui, ma vi sopravvalutavo. –
– Che cosa hai in mente? Tanto lo sai che non riuscirai mai a farcela. Ti verranno a prendere e ti chiuderanno in gabbia fino alla fine dei tempi. –
– Ma se non sai nemmeno che cosa sto facendo, come fai a dire che non ci riuscirò? –
– Perché quelli come te non ce la fanno mai. –
Il tizio sorrise maligno.
– Vedi, mi ero stancato anch’io di non riuscire mai a farcela. Infatti questa volta non ti ho legato per raccontarti il mio piano, così che poi, per non si sa quale motivo, tu riuscirai a liberarti e a sconfiggermi e a ripristinare l’ordine e la civiltà e tutte quelle belle cose che tanto hai a cuore. –
Rise forte, poi proseguì:
– Ero stanco di fare la parte del cattivo che fa i suoi spiegoni solo per poi essere fregato alla fine. Per cui adesso vi ho catturato e vi racconterò il mio piano, certo, perché sono vanitoso come sempre. Ma lo faccio solo perché ormai è tutto già compiuto. –
Rise di nuovo alla faccia attonita di Paperinik, poi continuò:
– Stavolta non ci saranno salvataggi all’ultimo minuto, esplosioni e io che me la filo con la coda tra le gambe. Stavolta tutto è già fatto, e io ho già vinto. –
Topolino, frustrato di non capire niente di quello che stava avvenendo, girò la testa verso il suo amico e gli chiese:
– Ma chi cazzo è questo? –
Paperinik rispose, senza smettere di fissare con odio il tizio sorridente:
– Lui è il Razziatore, un pirata temporale che viene dal futuro. –
– Eh, mi sembrava ovvio… –
– Non sto scherzando. Lui arriva davvero dal futuro. Ma lo avevamo arrestato con la Cronopolizia ancora alcuni anni fa e non dovrebbe essere fuori! –
L’oggetto della loro conversazione intanto se ne stava lì a guardarli, sempre con quel sorriso beffardo, attendendo pazientemente che finissero di discutere.
Topolino trovava difficile credere alle parole del suo amico, per quanto serio questi gli sembrasse. La situazione in ogni caso non cambiava, per cui decise di lasciargli il beneficio del dubbio e preoccuparsi invece delle corde che lo tenevano legato. Non dovette impiegare molto tempo per giungere nuovamente alla solita conclusione. Erano fottuti.
Nel frattempo Paperinik si rivolse di nuovo al Razziatore:
– Cosa stai cercando di fare? Tanto lo so che stai bluffando. –
– Io non ho più bisogno di bluffare. Ma non hai notato come le cose sono cambiate a Paperopoli? Non hai sentito cosa ti ha raccontato il tuo amico di Topolinia? E cosa pensi accadrà poi al resto del mondo? –
– Che cosa intendi dire? –
– È grazie a noi sai, se i criminali finalmente possono vivere in pace. Certo, ho dovuto far venire qui un po’ della mia gente e ho dovuto fare un po’ di pulizia di chi non mi piaceva, ma abbiamo finalmente reso il mondo un po’ più… oscuro. –
Paperinik aveva una vena in fronte che sembrava stesse per scoppiare.
– Che cosa hai fatto? – urlò.
– In parole semplici, così che lo possa capire anche tu, ho cambiato il corso del tempo e ho fatto in modo che fossero finalmente i cattivi a governare questo mondo. Un’idea vecchia, forse, ma solo io ci sono riuscito. A breve anche voi sarete spazzati via e il campo sarà libero da ogni ostacolo. –
– La Cronopolizia te lo impedirà! Tornerà indietro e ti bloccherà prima che tu possa anche solo immaginare di mettere in atto questo piano e ti sbatterà in gabbia, stavolta per sempre! –
– Non sono riusciti a tenermi dentro nemmeno l’ultima volta, grazie al mio amico Macchia. E quella è stata la loro ultima occasione di avermi. La vedi questa macchina dietro di me? Lo sai a cosa serve? –
Si fermò, sembrò apprezzare il momento, poi riprese.
– Ma quanto mi sto divertendo! – rise, – Comunque, cosa stavo dicendo? Ah sì, la macchina dietro di me. Sai qual è il suo unico scopo? Serve a strappare questo mondo dal flusso continuo del multiverso, inserendolo in un canale separato. Capito? –
Paperinik non rispose, Topolino cominciava a capire di cosa stavano parlando, ma doveva ancora combattere con l’incredulità.
Il Razziatore continuò:
– Questa macchina serve a isolare questo mondo da tutto il resto del multiverso. Qui non ci sarà Cronopolizia o altri che possano salvarti. Anche se lo volessero, non potrebbero arrivare qui, lo capisci? –
Ci fu un attimo di silenzio, ma poi Paperinik disse:
– Non ce la farai mai. Ti fermeranno. –
Il Razziatore lo guardò con pietà:
– Tu non hai capito. Quello che ti sto dicendo è che ormai non c’è più nessuno che possa fermarmi: tutto questo è già stato fatto!
To be continued.