Clicca qui per leggere le puntate precedenti: I – II – III – IV – V – VI
Topolino e Paperinik ritornarono a casa, pianificando nel frattempo come sarebbero dovute proseguire le indagini e ogni tanto ridendo senza particolari motivi. Non che ci fosse molto di divertente in quello che stavano vivendo, ma l’eccesso di adrenalina si scarica in molte maniere.
Di nuovo all’interno del rifugio di Paperinik i due ne approfittarono per farsi una doccia. Mentre ritornava in abiti civili, il supereroe disse:
– Ma non ti è sembrato che il viaggio di ritorno fosse più lungo dell’andata? Mi è sembrato di rimanere mesi chiuso in macchina! –
Topolino lo guardò strano.
– Mi è sembrato fosse un viaggio lungo, ma non ci ho prestato molta attenzione. Poi eri tu che guidavi, se hai fatto il giro largo è colpa tua. –
– Mah, devo essere un po’ scosso dalla sparatoria di prima. Lascia perdere. –
– Ti capisco, sai. Sono scosso anch’io e a dire il vero ho avuto la stessa impressione, ma penso sia solo l’effetto di essere il bersaglio dei colpi di un mitra. –
Risero, poi andarono a dormire e si dimenticarono gli strani scherzi che il tempo stava giocando loro.
Il giorno dopo non aspettarono fosse buio prima di uscire, ma si misero in moto già nel tardo pomeriggio. Utilizzando i travestimenti di Paperinik iniziarono entrambi a passare ad uno ad uno tutti i locali più malfamati della città, andando in cerca di chiacchiere e di gente strana. Trovarono molte sia dell’una che dell’altra, ma niente che avesse una minima utilità.
Si incontrarono dopo qualche ora fuori da un bar vicino alla zona industriale ed entrarono con l’idea anche di mangiare qualcosa. Topolino era felice di essere di nuovo in compagnia: entrare in tutti quei locali e per non destare sospetti ordinare ogni volta qualcosa di alcolico solo per svuotarlo di nascosto in un vaso o lasciarlo intatto sul tavolo si era rivelato stancante. La tentazione era sempre in agguato e la sua volontà sempre sul punto di cedere.
Quando furono all’interno del bar, quasi deserto nonostante fossero ormai le dieci di sera, si sedettero e ordinarono burger, patatine e una bottiglia d’acqua. Non parlarono molto, tranne che per confermarsi che non c’erano state svolte improvvise al caso.
Stanchi e demotivati, quasi non fecero caso al tipo che entrò poco dopo di loro e andò a sedersi un paio di tavoli più in là. Poi però Topolino notò qualcosa, tra un boccone e l’altro. Senza farsi vedere attirò l’attenzione di Paperinik sul tipo e gli indicò gli occhi. Il suo compagno non sembrò capire subito cosa avesse di così speciale, ma un secondo dopo un sorriso gli arricciò il becco.
Non era un sorriso che Qui, Quo e Qua avrebbero voluto vedere. Sembrava quello di un lupo pronto a saltare addosso alla sua preda.
Finirono di mangiare, facendo due chiacchiere giusto per sembrare a loro agio e tranquilli. Andarono a pagare, poi uscirono e si appostarono fuori dal locale, in una zona d’ombra da cui si poteva controllare sia l’entrata che il vicolo sul retro.
Il tipo individuato da Topolino uscì una ventina di minuti dopo e si avviò a piedi verso la periferia. I due gli si misero dietro e, appena furono nei pressi di uno di quei vicoli oscuri che sembravano proliferare in quella zona, lo assalirono alle spalle e lo immobilizzarono. Il tipo non ebbe nemmeno il tempo di vederli prima di trovarsi imbavagliato e bloccato. Lo portarono poi lontano dalla strada principale e lo misero a sedere contro il muro di un edificio abbandonato, nascosti da due enormi cassoni dell’immondizia. Lì lo schiaffeggiarono un paio di volte per dimostrargli che facevano sul serio, poi Topolino disse:
– Lo sai come vanno le cose adesso: noi ti togliamo il bavaglio, ma se tenti di urlare ti faccio ingoiare i denti e poi magari ti taglio anche la gola, se mi gira? OK? Annuisci se hai capito. –
Il tipo annuì, col terrore negli occhi, e Paperinik gli tolse il bavaglio. Topolino riprese la parola:
– Sappiamo chi sei e non vogliamo farti del male. Ma abbiamo bisogno di informazioni e tu ce le devi dare. –
– Ma io non sono nessuno! Chi pensiate che io sia? Io sono solo Jim lo Zoppo. Non ho fatto niente di male e non so niente di niente! –
– Jim lo Zoppo? Te lo sei inventato adesso? Non sei nemmeno zoppo, tu! –
– Ma lo sono stato per un po’, dopo un incidente in auto, e il soprannome mi è rimasto… –
Paperinik rise.
– Sì, OK, come vuoi. Ora però dimmi, dove sono i tuoi compagni Bassotti? –
– I Bassotti? E chi li conosce? Io mi faccio i fatti miei. Mai avuto a che fare con quella gente. –
Questa volta fu Topolino a ridere.
– Potrei quasi crederti, se non fosse per un dettaglio. Ti sei mai guardato allo specchio, ultimamente? –
Lo sguardo di Jim lo Zoppo si fece cauto.
– E allora? –
– Mah, sarà normale, ma sulla faccia hai dei segni strani, del tipo che potrebbe lasciare una maschera attorno agli occhi se te la tenessi addosso per un lungo periodo. Anni, magari. Una maschera simile a quella che tutti i Bassotti indossano. –
– Ah, quello. Non so mica cosa sia, davvero. Ho appuntamento dal dermatologo proprio la settimana prossima per capire che problemi abbia la mia pelle. Temo sia psoriasi. –
Paperinik e Topolino si guardarono in faccia, poi scoppiarono a ridere. I momenti di divertimento non sembravano mancare in queste notti.
– Ma dai – disse Paperinik – ti pare che ci beviamo ‘na fregnaccia del genere? Dicci quello che sai e falla finita. Non siamo qui per te, siamo alla ricerca di qualcun altro. –
Detto questo si tolse la maschera e fece segno anche a Topolino di imitarlo. Jim lo Zoppo li fissò a bocca spalancata.
– Lo vedi? – riprese Paperinik – Noi siamo i buoni. Aiutaci e non te ne verrà altro che bene. Abbiamo bisogno di sapere dove sono i Bassotti e cosa sta succedendo qui in città, e sono sicuro che tu puoi dirci qualcosa. –
Jim li fissò per un altro poco, poi distolse lo sguardo, bestemmiando.
– Ti pareva che l’unica volta che decido di uscire per bermi una birra trovo voi? Sono rimasto chiuso in un buco per due settimane. Due settimane! E appena metto fuori il naso subito voi due mi scoprite. Cazzo! –
– Chi sei davvero? Qual è il tuo numero? –
Lo pseudo-Jim sbuffò, poi sembrò arrendersi completamente.
– Sono 158-851, e non sono parte della banda di Paperopoli. Sono un cugino del gruppo di Ocopoli. Mi aveva invitato qui 176-761 perché avevano bisogno di aiuto per un colpo. Sembrava che avessero trovato un sistema per entrare nel deposito di Paperone, ma gli serviva una persona in più per il lavoro. –
– E quindi dove sono adesso i tuoi compari? Cos’è successo? –
Quello che era successo era che i Bassotti avevano sentito delle voci, e queste voci dicevano che qualcuno stava costruendo un macchinario segreto in un posto segreto. Una voce completamente inutile, ma Intellettuale-176 si era ostinato ad andare a fondo della faccenda, e aveva infine scoperto qualcosa. Non sapeva chi fosse il qualcuno e non sapeva cosa stesse costruendo, ma aveva scoperto un indizio su quale potesse essere il posto. Si era nel frattempo convinto che qualsiasi cosa fosse il macchinario, di sicuro avrebbe potuto aiutarli a penetrare finalmente nel deposito di Paperone. Non c’era un motivo vero per cui avrebbe dovuto essere così, ma aveva finito per contagiare anche il resto della banda ed era lì che 158-851 era entrato in gioco.
Per entrare nel posto avrebbero avuto bisogno anche di lui, perché sembrava ci fosse necessità di un aiuto aggiuntivo. Era invece andata a finire che la sera del colpo lui era rimasto a casa (leggi “roulotte”) ad accudire Ottoperotto, che sembrava avesse mangiato qualcosa di avariato e avesse problemi di stomaco. A quanto pareva il benessere del bassotto dei Bassotti aveva la precedenza su ogni altra cosa. Inizialmente 158-851 si era incazzato di essere lasciato indietro ad accudire un cane. Poi però aveva riflettuto che alla fine veniva pagato per rimanere a guardare la TV e ogni tanto controllare una bestia che dormiva quasi sempre, e questo gli aveva tirato su il morale. Dopo una notte passata a guardare film dimenticabili e a pulire (una sola volta, per fortuna) il vomito del cane, 158-851 si era ritrovato a fissare sempre più spesso la porta della roulotte, aspettando che la banda ricomparisse. Quando ciò non era successo, il Bassotto aveva iniziato a preoccuparsi, ma aveva lasciato passare un altro giorno e un’altra notte prima di muoversi.
A quel punto era stato preso improvvisamente dalla sensazione di essere sotto controllo, una paranoia potentissima, con cui forse avevano a che fare le tre canne che si era fumato. Aveva lasciato tutto com’era nella roulotte, ma prima si era spogliato dei suoi abiti da Bassotto e aveva spogliato perfino il cane del suo maglioncino rosso. Aveva portato poi Ottoperotto in un canile e aveva bruciato tutti i loro abiti e le maschere. Era quindi andato a rifugiarsi in un motel a poco prezzo, tornando di tanto in tanto a controllare se qualcuno della banda fosse tornato. Dopo un po’ aveva smesso anche di fare quello e aveva pensato di tornare ad Ocopoli, ma nel frattempo la paranoia di cui era preda era diventata sempre più forte. Gli sembrava di essere seguito ogni volta che usciva, e aveva perciò smesso del tutto di andare in giro. Ocopoli avrebbe dovuto aspettare che le acque si calmassero.
Era rimasto chiuso nella sua stanza per due settimane, pagando il proprietario del motel perché gli portasse anche il cibo in camera. Poi, quella sera, si era finalmente stufato dello schifo thailandese che gli veniva propinato ogni giorno, e aveva deciso di fregarsene dei suoi eventuali inseguitori e di uscire a prendersi bistecca e patate fritte. Aveva scelto il posto più anonimo che era riuscito a trovare, ma la sua fortuna aveva colpito ancora, visto che aveva trovato Paperinik e Topolino.
– E quindi che mi dici del posto dove si sono diretti i tuoi compari, quella notte? Dove si trova? Sei andato a controllare lì? –
– Ma sei pazzo? Non mi ci sono nemmeno avvicinato! E comunque non vi dirò dov’è quel posto, se non mi lasciate libero. –
Topolino intervenne.
– Potrei fartelo dire, sai. Non ho molta pazienza ultimamente. –
158-851 impallidì leggermente, ma non si fece prendere dal panico.
– Non vi servo a niente, cazzo. E io non ho fatto niente di male. Voglio solo tornarmene a Ocopoli il più presto possibile e togliermi da qui. Sto rischiando la pelle a rimanere fermo e in vista. –
– Vero, non ci servi a niente. Ma come possiamo essere sicuri che tu non ci prenda per il culo e ci racconti solo storie? Dobbiamo prima verificare quello che ci dici, e poi, forse, ti potremo lasciare andare. –
Il Bassotto pian piano si rese conto di dove stava andando a parare il discorso e iniziò a scuotere la testa prima ancora di iniziare a parlare.
– No no no no, io lì non vi porto. Vi dico dove si trova il posto, voi ci andate e fate quello che volete. Io nel frattempo me ne starò a distanza di sicurezza, tipo un paio di centinaia di chilometri, per esempio. –
Stavolta fu Paperinik a prendere la parola.
– Pensi di avere qualche scelta? –
Mezz’ora dopo tre brutti ceffi, di cui uno con uno strano caso di psoriasi attorno agli occhi, si avvicinarono alla finestra di un edificio abbandonato, nel pieno centro di Paperopoli. Davanti a loro quello che doveva essere un centro commerciale in fase di ristrutturazione, e che però sembrava essere rimasto bloccato in quella fase da almeno un anno, senza risultati visibili.
Il ceffo con la quasi-psoriasi, disse agli altri:
– Ecco, quello è il posto. –
Il più basso degli altri due, rimanendo nell’oscurità per non farsi scorgere da fuori, diede un’occhiata al centro commerciale e non vide niente di strano. Impalcature, teli, un paio di gru.
– Ci stai prendendo per il culo? –
– No, vi ho detto che Intellettuale-176 era sicuro che fosse qui! Aveva fatto tutti i sopralluoghi e aveva visto che c’erano guardie e sistemi di sorveglianza nascosti. –
– Le cose sono due. O ci stai raccontando balle, o hanno raccontato balle a te. Lì non c’è niente. –
Il Bassotto si sporse un po’ dalla finestra e controllò l’edificio con attenzione, poi si girò verso gli altri con un sorriso e disse:
– E quello cosa ci fa in un centro commerciale in ristrutturazione? –
Indicò l’angolo nord del posto. Lì uno dei teli che coprivano le impalcature si era leggermente spostato, forse per il vento, e si riusciva ad intravedere l’interno dell’edificio. Paperinik estrasse un binocolo, ci guardò dentro, imprecò, si spostò dietro il muro e poi lo passò a Topolino.
– Rimani al coperto. –
Lui annuì, poi guardò nel binocolo.
Un uomo tutto vestito di nero e con un mitra in mano era appostato all’interno del centro commerciale, vicino ad una colonna da dove aveva visuale completa sia dell’esterno che dell’interno. Topolino si ritrasse dalla finestra, sperando di non essere stato scorto. Se ce n’era uno, potevano essercene altri, e se aveva visto bene il sorvegliante era anche dotato di walkie talkie, per cui quella possibilità era quasi sicura.
– Ok, potrebbe essere che tu abbia ragione. –
– Certo che ce l’ho! Ora dovete lasciarmi andare! Se voi volete andare lì dentro sono affari vostri, ma io ho intenzione di starci il più lontano possibile. –
– Vedremo. Intanto accompagnaci fuori. –
I tre uscirono da lì con cautela e guardandosi sempre alle spalle, per poi allontanarsi e andare verso il luogo in cui avevano nascosto la macchina. 158-851 era in testa, evidentemente ansioso di togliersi dai piedi. Paperinik gli era subito alle spalle, e quando furono in vista della 313 sembrò alzare una mano per grattarsi la testa. Nello stesso momento il Bassotto davanti a lui si bloccò sui suoi passi e poi collassò a terra.
Topolino rimase di stucco, poi vide Paperinik sorridere.
– Gli ho solo lanciato una piccola freccia anestetica. Non possiamo fidarci a lasciarlo andarsene via, non prima di aver verificato quello che ci ha detto. –
– Capisco. Ma ora dove lo portiamo? –
– Pensavo nella sua stessa camera. Il sedativo che gli ho iniettato lo terrà a bada per almeno dodici ore: per allora noi saremo ritornati, sapendo se ci ha raccontato frottole o meno. –
– Mi piace il tuo piano. –
– Anche a me. Ora portiamolo nel suo motel e poi andiamo a casa mia. Ho qualche nuovo aggeggio di Archimede che mi sa che stasera ci sarà utile. La notte è giovane. –
To be continued.