Tante cose possono influire su come vivi la tua esperienza nel Regno di Oz. Una delle più importanti è di sicuro dove abiti. Ecco alcuni dei posti in cui ho vissuto.
1 – La mia station wagon
Questa è una di quelle cose che un viaggiatore deve assolutamente fare, se vuole sperimentare davvero cos’è un road trip. E’ più difficile se si ha una berlina, molto più comodo se si ha un van, ma anche una station wagon non è male.
Come funziona la cosa? Se siete in due avete tutti i bagagli bene impacchettati nel baule e nei sedili posteriori e quando dovete viaggiare per strada siete a posto. Quando dovete fermarvi per la notte dovrete però procedere come segue: aprire il baule, svuotare il baule, aprire le portiere posteriori, svuotare i sedili posteriori, poi prendere tutta la roba che prima era comodamente sistemata nel retro della macchina e incastrare tutto tra i sedili anteriori e il cruscotto.
Dopo aver fatto ciò: aprire il materasso gonfiabile, gonfiare il materasso gonfiabile, piazzare il materasso gonfiabile, sistemare coperte e i cuscini, mettere i giornali sui finestrini (per evitare guardoni e risvegli all’alba causati dal sole) e infine fare in modo che nel poco spazio che hai vicino alla testa riesca a starci almeno una lampada e il cellulare con la sveglia.
Il prerequisito è non soffrire di claustrofobia, perché quando sei disteso sul materasso il tetto dell’auto ti sembra sempre più vicino (e lo è, effettivamente), le pareti ti si stringono addosso e ti sembra di non avere più aria. Per questo la cosa migliore sarebbe dormire con la testa vicina ai finestrini e i piedi verso il retro dell’auto. Se però capita che il materasso (causa forma della macchina) stia più alto dalla parte del baule sei costretto a posizionare la testa da quella parte, altrimenti facendo il contrario il sangue ti va al cervello e dopo un po’ non stai più tanto bene.
Non avendo io nessun problema di claustrofobia devo dire però che le mie notti in auto non sono mai state niente di male. Mi sono sempre svegliato riposato e a volte perfino contento.
Non chiedetemi di rifarlo, però.
2 – Camera in appartamento in città – Caboolture
Troviamo per pochi soldi una stanza in una casa vicina alla prima farm in cui lavoriamo in Oz. La camera è molto bella, il letto molto grande e spazio ce n’è in abbondanza. La cucina è enorme, il salotto pure, non c’è molta gente a condividere il bagno. Tutto perfetto, ad essere sinceri, a parte chi ci abita.
La padrona di casa infatti è proprio una troia. Per un po’ pensiamo che sia anche la sua professione, oltre al suo modo di essere. Troia, cioè. Come spiegare altrimenti le sue dipartite nel cuore della notte o i suoi orari sballati? Quello che si scopre dopo (sempre se è la verità) è che lei si occupa di persone in libertà vigilata e che a volte ha delle emergenze per cui deve partire e andare a risolvere eventuali problemi.
Non sai mai se credere a quello che dice, perché a tutti gli effetti il 99% delle volte quello che racconta è, come si dice qua, bullshit, cioè cazzate. E’ difficile poter far capire che tipo di persona è, ma a tutti gli effetti nel giro di un mese e mezzo scappano tutte le persone venute ad abitare là, compresi noi.
Non credo serva altro: o scappi, o la prendi a pugni…e visto che è alta quanto me, pesa il triplo, ed è stata praticante di tae kwon do, quest’ultima opzione non è consigliabile. Che poi la storia delle arti marziali sia vera è un altro discorso, ma ho visto con i miei occhi un buco sul muro provocato da un suo pugno in un accesso di collera. Per quanto qui in Oz le pareti siano di cartongesso, pensare comunque di avere a che fare con persone che aprono buchi sui muri quando gli girano le palle non è proprio il massimo.
Alcuni episodi e caratteristiche random, giusto per dare un’idea di com’è:
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una sera alle sette è arrivata una sua amica con cui dovevano andare a fare party all night. Il suddetto party si rivelò restare sedute fuori sul portico per quasi ventiquattr’ore, parlando, bevendo e fumando erba. E l’unica che parlava era lei, mentre la povera amica rimaneva zitta facendo cenni di assenso;
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una volta mi è sfuggita la porta di mano e ha sbattuto. Tornavo in quel momento da otto ore sotto di lavoro in farm e le mie capacità motorie non erano ai loro massimi. Mi sono preso una lavata di capo per aver fatto casino quando c’erano persone che si stavano riposando dopo del lavoro duro.
Che si stavano riposando.
Alle tre del pomeriggio.
Buttate sul divano dopo essersi fumate una canna.
Dopo del lavoro duro.
Quale lavoro? Che in un mese e mezzo di permanenza non l’abbiamo mai vista lavorare;
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una volta mi sono preso parole perché stavo cucinando una zuppa senza coperchio. Le stavo finendo il gas tutto da solo, a quanto pare;
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porte sbattute a qualsiasi ora del giorno e della notte (lei sì che poteva farlo);
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urla e litigi alle sei e mezza di mattina o in piena notte tra lei e la sua coinquilina/migliore amica.
Basta comunque parlare di lei. Penso sia, al momento, la persona che mi ha fatto vivere peggio in un posto e l’unica per la quale abbia provato vero odio, per la prima volta nella mia vita.
3 – Cottage in cattle station – Pasha
A volte decidi di partire e di rischiare tutto, facendoti più di mille chilometri, di cui un centinaio su strade di ghiaia e rocce per andare in un posto che ti sembra decente perché ti sembra di poterti fidare di chi ti ha offerto un lavoro.
E a volte ti va bene.
Trovi delle persone adorabili che ti accolgono nella loro cattle station e che ti danno come abitazione non una stanza nella loro nuova, grande e bellissima casa in stile australiano, ma tutta la loro vecchia casa, che è lo stesso grande e bellissima, solo un po’ più stagionata. Ti ritrovi quindi ad abitare in un cottage di legno, nel mezzo del nulla, con canguri che passano a pochi metri dalle tue finestre, quando non ci sono le vacche. Vivi in mezzo alla natura, sotto cieli stellati come non ne vedrai mai più nel resto della tua vita. Comprendi già mentre sei lì quanto quel posto sia speciale, e lo capisci con tutto te stesso, perché non c’è nulla che ti possa distrarre dalla bellezza di quella vita.
La sveglia è presto, ma non così presto, e il lavoro c’è, ma non è così duro. In più ti resta comunque il tempo per dedicarti alle tue passioni e magari a farti qualche corsa su quella terra rossa vista in tanti film, spaventando i vitelli e i cavalli al pascolo, e vedendo ogni tanto i canguri che ti fissano dall’altra parte delle recinzioni, prima di scappare a loro volta. Non sei pagato, ma hai cibo e una casa tutta per te. Hai il silenzio e hai la natura, e cosa ti serve d’altro?
Quando per forza di cose (letteralmente obbligato) devi tornare alla vita urbana, non riesci a capire come facevi prima a sopportare tutto il rumore delle città, tutte quelle persone, tutti quegli odori. Ti riabitui, ovviamente, e la tua mente fa il possibile per nascondere sotto il pietoso velo dell’oblio qualsiasi ricordo di dove hai vissuto per quel periodo, ma c’è poco da fare: basta girarti un attimo indietro e vedi cosa era davvero la bellezza. Non i nightclub dove ti invitano ora i tuoi nuovi amici di città, non i caffè o i fast food. Non le strade intasate di auto, non gli appartamenti intasati di persone, persone ovunque.
I cieli. Solo pensare ai cieli che ho visto fa male. Vedi il paradiso, poi sei rituffato nelle tenebre.
4 – Donga in miniera – Forsayth
A volte decidi di partire e di rischiare tutto, facendoti quasi mille chilometri, di cui molte decine su strade in salita tra ghiaia e rocce per andare in un posto che ti sembra decente perché ti sembra di poterti fidare di chi ti ha offerto lavoro.
E a volte ti va male.
Ti trovi in un posto che ti è stato descritto come un luogo affascinante, affacciato su di un lago, perso nel nulla, in cui avrai la camera da letto principale in un donga, in cui c’è perfino connessione Internet, anche se bisogna magari spostarsi dietro l’abitazione, e dove in ogni caso ci sono le comodità principali. Tra parentesi, il donga è una costruzione rettangolare di alluminio, in cui all’interno di solito ci sono camere, bagno, cucina e salottino. Ci ho vissuto in un donga ed è meglio di certe camere d’albergo, perché hai tutto a disposizione.
Peccato che qui il donga invece sia un container sulle cui pareti sono stati fatti dei buchi come finestre, diviso in tre stanze da pezzi di compensato, ma con delle piccole aperture tra una camera e l’altra, così che se il tuo vicino scoreggia puoi goderti rumore e puzza anche tu. Il compensato è marcio, c’è muffa ovunque e letti e armadi sono sporchi e sembrano poter trasmettere qualsiasi tipo di malattia tu possa immaginare.
Non c’è corrente elettrica, a parte una lampadina in camera, una in cucina e una dove c’è la doccia.
Non c’è acqua calda: quando ti serve usi il donkey. Il donkey non è altro che un barile di ferro che riempi d’acqua e sotto al quale poi accendi un fuoco. Quella è l’acqua che puoi usare per lavarti.
Come ho detto c’è una lampadina dove c’è la doccia (che ovviamente, come il resto dei rubinetti, pesca acqua da sottoterra, acqua che non si sa da dove arriva e se sia pura), ma non c’è luce invece dove c’è il WC. Per questo se ti scappa dopo il tramonto ti devi portare una torcia e sperare che non ci sia Arturo il Canguro. Sì, perché può essere che questo vecchio animale che bazzica i dintorni abbia deciso di farsi un riposino davanti alla porta del bagno, e, per quanto sia anziano e non sembri cattivo, è comunque una bestia selvatica alta quasi due metri e di una potenza terrificante. Se non avete mai visto due di questi animali litigare e picchiarsi andate a cercarvi un video su Internet e poi immaginate di voler spostare Arturo mentre si sta facendo una dormita davanti al cesso.
Non lo fareste, ve lo posso assicurare.
Infatti la tecnica di solito è: aspetta e spera. Funziona, ovviamente, ma quanto puoi aspettare in certi momenti di bisogno?
La cucina, poi. Sembra quasi carina se la guardi socchiudendo gli occhi e spalmandoti un po’ di vaselina sulle pupille.
O se sei fatto di LSD.
Poi la esamini meglio e capisci che in effetti non ti farebbe così schifo se fossi vaccinato contro la peste bubbonica e la rabbia. Quando poi ti dicono che è OK usare il gas per cucinare, ma per piacere di non utilizzare il forno perché dei ratti ci hanno fatto il nido, allora capisci che o la gente che vive qui è molto animalista, oppure c’è un problema.
Ad ogni modo dopo aver visto tutto questo non credo stupisca che Aurora mi dica io qui non ci resto neanche morta. E nemmeno che io risponda stanotte dormiamo in macchina e domani mattina ce ne andiamo di corsa. Non credo sia stupefacente, ma quando lo diciamo al padrone del posto lui sembra trasecolare e si stupisce che noi si voglia fuggire da tale ameno luogo. Se non fosse che in verità la colpa è di sua moglie che ci ha scritto le mail e ingannato bellamente sarebbe da prenderlo a scarpate in culo. La tentazione di farlo è in ogni caso fortissima, ma lui ci serve per ritrovare la strada per tornare alla civiltà. E’ per questo che rimaniamo lì per la notte, perché ormai il sole sta tramontando e se provassimo a tornare indietro per quelle stradine di montagna avremmo solo due possibilità: perderci o morire giù per una scarpata. La scelta è quindi obbligata: cena tutti assieme, poi a dormire e il giorno dopo via di corsa, guidati da uno dei lavoratori della miniera.
I nostri ex-futuri colleghi provano a convincerci a rimanere, ma riusciamo facilmente a resistere alle lusinghe e il giorno dopo alle otto siamo fuori da quel luogo dimenticato da Dio, senza sapere dove andare e che fare, ma felici lo stesso di non dovere restare lì.
5 – Capannone – Herberton
Dopo essere fuggiti dalla miniera la situazione è la seguente:
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siamo in una cittadina di circa cento abitanti (compresi i ratti) persa nell’outback;
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non sappiamo da che parte dirigerci, né abbiamo piani per il futuro prossimo. Con questo intendo che non sappiamo neanche dove dormire la notte;
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non siamo esattamente pieni di soldi.
La fortuna decide però di sorriderci, dopo il brutto tiro giocatoci con la miniera. Troviamo al volo un’offerta per un lavoro nelle Tablelands che non ci frutterebbe soldi, ma il vitto e l’alloggio e la possibilità di finire i giorni di farm che ci mancano per avere il secondo visto. Siamo molto più guardinghi ora e chiediamo ogni cosa possibile prima di accettare. Ci informiamo anche sul tempo che fa, perché non abbiamo intenzione di andare a finire al freddo, per quanto disperati.
E’ così che ci troviamo a vivere in un capannone di alluminio.
Come al solito, per quanto tu possa investigare sulle condizioni di quello che ti troverai ad affrontare, se ti devi affidare alla parola di qualcun altro molto probabilmente sarai fuorviato. Nella fattispecie provo a spiegarvi la differenza tra quello che ci dicono e la realtà dei fatti.
Domanda 1: ma com’è il tempo là?
Risposta 1: stupendo! Non è così disgustosamente caldo e umido come Cairns, c’è un bel sole e siamo sui venti gradi. Di sera poi diventa più fresco, ma si sta bene.
Realtà dei fatti: per le prime tre settimane delle sei che passiamo là il tempo varia dall’essere piovoso e freddo all’essere nuvoloso e freddo. Dopodiché ci sono alcuni giorni di sole nelle restanti settimane, ma le notti sono gelide, altro che fresche.
Domanda 2: com’è l’alloggio? Arriviamo da una brutta esperienza in cui ci hanno detto una cosa per un’altra e siamo stati ingannati, per cui vogliamo essere sicuri di non dover vivere in una topaia.
Risposta 2: beh, vivreste nel capannone dove ci sono gli attrezzi. Abbiamo però ristrutturato e sistemato una camera al piano superiore e attrezzato un bagno al piano inferiore. E sì, c’è l’acqua calda e non dovete usare il donkey. Il vostro primo lavoro sarà pulire quell’appartamento, perché sono tre settimane che non ci vive nessuno, ma il posto è carino.
Realtà dei fatti: il capannone è in alluminio. Questo significa che non c’è il minimo isolamento, visto che comunque è tutto aperto, le finestre non si chiudono e i muri non sono sigillati. I giorni che fa caldo si sta quasi bene, visto che comunque è inverno e più su di una certa temperatura non si va, ma di notte le cose diventano pazzesche. Dalle sei del pomeriggio in poi si precipita dai venti e rotti gradi del giorno ai cinque o sei della notte. Non so precisamente quanto freddo sia, ma so che abbiamo bisogno di sette coperte per sopravvivere, si vede il fiato che ti esce dalla bocca e comunque il solo pensiero di uscire dal letto è doloroso. Il bagno è al piano di sotto e sì, c’è l’acqua calda, ma la doccia è aperta e creata con pareti in alluminio vecchie e rugginose e il water e il lavello sembrano scarti industriali.
In più ci sono i seguenti dettagli non specificati:
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il capannone viene usato oltre che per gli attrezzi anche per tenerci frutta e mangimi vari, per cui si convive con diverse specie di ratti e alcuni opossum, che ogni tanto ritrovi in camera;
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c’è la stalla dei maiali lì attaccata, per cui spesso arrivano olezzi poco gustosi e spesso li si sente fare casino. Non ho mai capito come facciano tutto quel rumore, ma presumo scopino di violenza addosso alle pareti;
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la famiglia proprietaria del luogo è fuori di testa. La moglie è quasi a posto, anche se considera normale il fatto di avere vissuto in tenda fino al 2002 nel luogo dove ora c’è la loro casa… che è di alluminio come il capannone. Il marito invece è un lunatico maleducato e stronzo, che si bea del fatto di poter fare l’arrogante con chi vuole, solo perché ha a che fare con dei poveri backpackers come noi che non possono dirgli il fatto suo perché hanno BISOGNO della sua firma sulle carte per il visto. I quattro figli, poi… beh, mi pare abbastanza dire che sono quattro e che sono maschi. Non dico altro.
Viviamo lì per quaranta giorni e quaranta notti, come in un racconto biblico. L’idea iniziale era di fare anche più degli ottantotto giorni obbligatori di farm prima di andarcene, ma già dopo una settimana iniziamo a fare il conto alla rovescia di quanto manca alla fine, e per questo all’alba (o quasi) dell’ottantanovesimo giorno siamo in auto diretti quanto più velocemente possibile verso Cairns. Entrambi con una mano fuori dal finestrino, ed entrambi con il dito medio alzato a salutare le Tablelands.
6 – Camera in appartamento in città/2 – Cairns
Stavolta l’organizzazione delle cose parte ben prima, ma alla fine la camera la troviamo grazie ad un annuncio pubblicato a mezzogiorno e che noi leggiamo alle due del pomeriggio. Alle quattro siamo dentro e in uno dei posti migliori in cui siamo stati.
Piano superiore, per cui niente rotture da gente sopra di te, quartiere tranquillo vicino al centro, pochi coinquilini e poco presenti a casa e per qualche settimana nessun coinquilino in assoluto, stanza grande, abbastanza pulito prima del nostro intervento, perfetto a seguire.
Un paio di problemini, ma niente di pazzesco: niente acqua calda nel lavandino del bagno (ma tanto a Cairns il tempo è magnifico e l’acqua calda la usi tanto, tanto poco, anche in inverno) e i capelli della nostra coinquilina vietnamita che ogni tanto intasano le tubature della doccia. Per il resto, come detto, questo posto è da segnare sul diario e, in caso di un ritorno in zona, da richiedere di nuovo immediatamente.
7 – Tenda
Quando da Cairns decidiamo di partire in auto e di farci un lungo road trip fino a Sydney, l’unica cosa sicura è che stavolta col cazzo che dormiamo in macchina. Andiamo perciò in uno di quei megaipermercati che si trovano nelle città di Oz e ci compriamo una tenda per tre persone: siamo in due, ma a quanto pare chi ha progettato queste tende pensava a degli hobbit e non a degli esseri umani. Come scoprirò più avanti, anche in quella da tre non è che ci si stia così tanto comodi, per cui io mi chiedo: ma chi ha deciso di fidarsi che quelle da due erano veramente sufficienti per due persone, come ha fatto a dormirci?
Quello che capita è la cosa seguente: loro ti scrivono che le dimensioni sono due metri per due metri, circa. Tu sei alto poco più di uno e ottanta, per cui pensi che hai anche un po’ di spazio in avanzo. Peccato che poi ci infili il materasso gonfiabile e a questo punto ricordi che la forma di una tenda è quella di una piramide. Questo significa che più in alto sei rispetto alla base, più lo spazio si restringe. Quando dormi sul tuo bel materasso succede quindi che, sebbene tu sia rialzato solo di una ventina di centimetri, i tuoi piedi non ci stanno più. O lasci la porta aperta e dormi con i piedi all’aria, oppure ti rassegni a riposare in posizione fetale. Visto che di notte non ci sono zanzare, ma mostri succhiasangue che svolazzano per i caravan park che frequentiamo, e che non sempre è così caldo, sei costretto a dormire in una posizione che va benissimo se sei un feto, ma che a quasi trent’anni semplicemente NON PUOI mantenere per tutta la notte e per tutte le notti che ti separano dalla tua destinazione. Quello che succede è che lo fai lo stesso perché sei costretto, ma quando ti alzi la mattina ti senti come deve sentirsi tuo nonno, e per almeno dieci minuti cammini come un ippopotamo ubriaco (metafora non totalmente correlata, ma penso abbastanza evocativa).
Scopri quindi che forse c’è un motivo se non hai mai fatto camping nella tua vita finora. Cioè, a te nemmeno la sola idea del camping è mai piaciuta. Quello che ti piace è guidare, arrivare in un hotel o al massimo in una cabin, buttare le tue cose in camera, farti da mangiare o ordinare una pizza, guardarti un film e poi dormire il sonno del giusto fino al giorno dopo. Quello che non ti piace, ma che il budget ti obbliga a fare è invece:
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guidare e andare in giro tutto il giorno;
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calcolare il tuo arrivo in tempo prima della fine del check-in del caravan park;
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fare la spesa;
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preparare la tenda.
Il “preparare la tenda” poi suddivide in sottogruppi:
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con terreno decente;
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con terreno di cemento.
Questi poi si suddividono in altri sottogruppi:
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con vento;
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senza vento.
Se il terreno e le condizioni atmosferiche sono soddisfacenti pianti i fermi della tenda nel tempo massimo di dieci minuti, nel caso contrario i minuti diventano tre volte tanti e a questi devi aggiungere un vasto spargimento di sangue e bestemmie. No, in questi momenti non apprezzo per niente il road trip.
Una volta preparata la tenda devi gonfiare il materasso, preparare il letto per la notte e poi andarti a lavare, preparare la cena e poi dormire. Sì perché, a meno che tu non sia in un posto interessante in cui puoi pensare di andare a farti un giro fuori, quando arriva il buio non c’è più niente da fare in tenda. Qualche volta proviamo anche a guardarci un film al PC, ma provate voi ad immaginarvi in che posizione vi mettereste in due in una piramide di tela di due metri per due metri e con un computer nel mezzo. Una posizione che in ogni caso non è per niente comoda, e per cui film ne vedi ben pochi in un road trip. Non che sia una cosa fondamentale, ma se appunto non hai niente da fare dopo cena è abbastanza da pensionati andare a letto alle nove di sera. Anche se bisogna ricordare che comunque la mattina ti alzi poco dopo l’alba in ogni caso, perché nella tenda si crea un effetto serra che ti costringe a uscire da lì al più presto possibile. Dopo la prima sveglia provocata dal calore del sole impariamo a sistemare la nostra abitazione temporanea in modo che sia all’ombra almeno fino alle otto, ma non sempre è possibile per cui a volte ti godi l’alba, volente o nolente.
Tutto sommato non è stato terribile vivere in tenda, devo essere sincero. Adesso che mi ricordo però vado subito a mettere un annuncio online per venderla, sia mai che venga di nuovo fuori la malaugurata idea di rifare una cosa simile.
8 – Camera in appartamento in città/3 – Sydney
Quando arriviamo a Sydney dopo due settimane di road trip siamo di nuovo stati previdenti e per quel giorno abbiamo già cinque appuntamenti per vedere cinque stanze diverse in cinque parti opposte della città. In questo modo speriamo di trovare la casa giusta nel giro di due giorni, senza dover così spendere centinaia di dollari di caravan park nell’attesa di un posto che vada bene. Senza parlare poi del fatto che vogliamo evitare di stare in tenda anche un solo giorno in più del necessario.
Arriviamo di sabato, per cui con un po’ meno del traffico solito della città. Nonostante ciò non siamo comunque preparati a quello che è il girare per una metropoli.
Una metropoli: a meno che non ci abbiate vissuto non è possibile capire cosa significhi una parola del genere. Tragitti di venti chilometri diventano cose improponibili, ad una certa ora. I cinque appuntamenti in parti diverse della città diventano quattro per forza di cose: è impossibile attraversare Sydney tutte quelle volte in un solo giorno: troppo grande. Cominci a guidare e dopo tre ore sei ancora dentro la stessa città, quando a casa tua in tre ore avresti almeno cambiato regione, se non anche nazione. E poi il centro: se non fosse che sai che è impossibile, giureresti che tutte le persone del mondo si sono date appuntamento là per rompere i coglioni a te che devi camminare su quei marciapiedi. Il rumore continuo delle auto. Le sirene. Gli idioti con auto truccate che sgommano e rombano solo per trovarsi fermi in coda cinquanta metri più avanti.
Tante cose viste solo nei film cominciano ad avere senso e non a sembrarti esagerazioni, come il dialogo tipo di certe pellicole d’azione:
“John, dobbiamo portarlo immediatamente all’ospedale!”
“Ma è dall’altra parte della città! Non ce la faremo mai!”
Poi ovviamente loro ce la fanno e tutti vivono felici e contenti, ma per quanto ho visto io se dovesse capitarmi di essere ferito e rischiare la vita e mi dicessero che devono portarmi dall’altra parte della città:
“Niso, sei ferito, dobbiamo portarti immediatamente all’ospedale!”
“Beh, penso che a ‘sto punto posso anche starmene seduto qua a morire in pace allora…”
Abituato com’ero alle vastità del Regno di Oz, trovarmi a dover lottare per avere un minimo di spazio vitale mi è diventato antipatico. La mancanza cronica di parcheggi poi è fastidiosa oltremodo, soprattutto quando ti trovi a pagare l’equivalente di una cena di lusso per poco più di un’ora di sosta.
Non credo stupisca quindi che, dopo attente valutazioni e numerose bestemmie per le strade di Sydney, ci decidiamo per una stanza in uno dei quartieri più tranquilli della città e a venti chilometri dal centro vero e proprio. L’unico svantaggio del posto è la sua distanza dalla city, ma la stazione dei treni è a distanza di passeggiata e in ventidue minuti sei nel mezzo del casino centro se proprio ne hai bisogno.
D’altra parte ha invece dalla sua molti altri vantaggi:
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la stanza è enorme;
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gli armadi sono enormi;
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c’è un giardino;
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siamo in cinque, ma gira poca gente per casa: tutti hanno le loro cose da fare;
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i supermercati sono a dieci minuti di auto di distanza;
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ci sono due cinema multisala a dieci minuti d’auto di distanza (sì, lo so, penso troppo ai film);
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tutti i dieci minuti d’auto di distanza che devi farti sono privi di traffico e hai sempre tutto il parcheggio che vuoi;
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la casa è pulita.
Che la casa sia pulita non è cosa da poco: gli abitanti di una metropoli hanno una concezione diversa di pulizia rispetto a quella di una persona normale. Quando abitavamo nella cattle station, in mezzo al nulla, con terra rossa ovunque e vacche e animali vari che giravano per il “giardino”, le case erano più pulite di certi appartamenti che ho visto qua. Cose per cui uno si ritrova a chiedersi come fa un essere umano a fidarsi a vivere in certi posti senza aver paura di contrarre malattie mortali.
Appena vista la camera quindi decidiamo di prendere l’occasione al volo e il giorno seguente siamo dentro, dopo un’altra notte che ci saremmo volentieri risparmiati. Sydney ad inizio novembre in tenda non è il massimo, nemmeno con pigiama e due coperte. Siamo però fortunati perché effettivamente in soli due giorni abbiamo un tetto sopra la testa e in un posto che ci soddisfa, non qualcosa dove non ti viene neanche voglia di tornare dopo il lavoro.
I padroni di casa e il nostro coinquilino poi sono gentilissimi. Il giorno di Natale, per esempio, troviamo sul tavolino della colazione un alberello di plastica e due pacchetti alla base. Erano più di quindici anni che non trovavo regali sotto l’albero e per cinque minuti mi sento di nuovo bambino.
Se sentirò la mancanza di questa città che all’inizio ho davvero odiato e se riesco a godermela almeno un po’, è anche per merito del posto in cui vivo e delle persone con cui lo condivido.