Sono il felice possessore di una Ford Falcon III serie, quella che può essere considerata il picco dell’affidabilità e della bellezza Ford. Non sono assolutamente di parte quando dico questo.
Ad ogni modo la mia macchina è qualcosa a cui sono legato in maniera assoluta e a cui affiderei (e ho affidato più volte) la mia vita. C’è una simbiosi, un rapporto che nasce tra un uomo e la sua auto, che non ha paragoni nel mondo delle relazioni umane. Pochi ne sono immuni, e io non sono tra loro. E’ per questo che quando l’auto fa le bizze la cosa ci colpisce come se fosse un affronto personale.
Ed è per questo che mi preoccupo assai quando comincio a trovare cose nella mia macchina. Cose “estranee”.
In verità la situazione inizia un po’ prima, quando accendo la radio, metto un CD e gli altoparlanti iniziano a sparare musica che non avevo mai sentito in vita mia. Premo pulsanti, mando avanti le canzoni, ma il disco non sembra nemmeno mio. I nomi dei gruppi che vedo comparire sul display mi sono familiari, ma i titoli e ciò che sto ascoltando è qualcosa che non ho mai sentito prima. Possibile che i Drowning Pool abbiano fatto una cover di Anastacia? O che Marilyn Manson abbia fatto una canzone insieme a Lou Reed? Sapevo dei Metallica insieme al vecchio Lou, ma Marilyn? Ha voglia di fare un disco schifezza anche lui? Un altro oltre agli ultimi, cioè.
Estraggo il CD, lo guardo e non c’è dubbio, è il mio “Mix N. 4”. Lo inserisco nella radio di nuovo. Gli altoparlanti questa volta mi sfondano le orecchie con ciò che ricordavo di aver inserito io: Slayer, Megadeth, Iron Maiden. Scorro le canzoni, cambio album, e stavolta non trovo traccia di gente che non dovrebbe esserci o di cover mai sentite.
Mi tranquillizzo, ma rimango perplesso. Chissà da dove sono arrivate quelle canzoni. Magari un’interferenza con la radio? Tracce nascoste di cui non sapevo niente? Poi un vecchio mi taglia la strada e non penso più allo stereo ma ad insultarlo pesantemente, e quattro secondi dopo mi sono dimenticato di qualsiasi problema.
Due giorni dopo entro in auto con l’ombrello perché sembra stia venendo a piovere. Mi giro verso i sedili posteriori e faccio per lasciarlo cadere là, poi vedo cosa c’è sul pavimento e aggrotto la fronte.
Da quando in qua posseggo un peluche di Hello Kitty?
Mollo l’ombrello e raccolgo il pupazzo. Non è molto grande e profuma di nuovo. Mi guardo attorno, ma sono ancora chiuso nel mio garage e non c’è niente da vedere a parte mura grigie e un portone grigio. Tento di pensare se ho prestato la macchina a qualcuno, se qualcuno può avermi fatto uno scherzo o se lo posso aver comprato io dopo l’ultimo festino alcolico in città, ma non mi viene in mente nulla. Concludo però che lo devo aver preso io durante una delle mie serate festaiole. Non sono nuovo a queste stupidaggini, in particolare dopo aver esagerato con l’alcol.
Rimetto il pupazzo sui sedili posteriori e mi prometto di regalarlo ad una qualsiasi delle mie amiche appena ne avrò l’occasione. Mi dimentico di nuovo di Hello Kitty fino a quando non esco da lavoro e butto un’occhiata dietro.
Il pupazzo è sparito.
– Eh no, qua ci stiamo prendendo per il culo, – esclamo.
Mi guardo attorno per vedere se c’è qualcuno che mi sta ridendo alle mie spalle. Non vedo niente, a parte i miei colleghi che si stanno affrettando verso le loro macchine per andare a casa. Come stava facendo il sottoscritto, solo che il sottoscritto ha appena avuto un piccolo shock che gli ha fatto dimenticare anche di voler andare a casa.
Apro la macchina e controllo se il peluche è caduto sul pavimento, magari per una scossa di terremoto localizzata solo sotto la mia Ford. Ovviamente non c’è niente e altrettanto ovviamente quando mi metto alla guida la mia mente inizia il suo giochetto di far perdere nell’oblio ogni cosa. Il trucco funziona per un totale di ventisette minuti esatti, il tempo di arrivare a casa e parcheggiare in garage. Poi mi giro verso il sedile posteriore per prendere l’ombrello e trovo di nuovo Hello Kitty che mi fissa. Faccio un salto indietro e tiro una bestemmia quando picchio la testa sullo specchietto retrovisore, ma il dolore non fa scomparire il pupazzo.
Spalanco la portiera, esco, chiudo a chiave la macchina e salgo di corsa nel mio appartamento. Non ho più intenzione di avere a che fare con la mia auto fino a domani almeno, e di sicuro non con pupazzi o altro.
Dentro casa mi sento un po’ più al sicuro. Butto le chiavi sopra un mobile, mi tolgo le scarpe e vado immediatamente a bermi un goccio. L’ho sempre visto fare nei film, e adesso è il momento giusto per vedere se un superalcolico calma davvero i nervi. Mi scolo d’un fiato mezzo bicchiere di Glen Grant, ma a parte bruciarmi lo stomaco non avverto nessun effetto benefico. Mi spoglio e vado a farmi una doccia: questa tattica funziona già meglio, e quando finisco di asciugarmi mi sento davvero un altro. Riesco a razionalizzare la cosa raccontandomi che magari è lo scherzo di qualche amico o una candid camera. Decido di tornare giù in garage e farla finita con questa storia, smontando la macchina da cima a fondo, se necessario.
Quando arrivo giù vedo già da fuori che Hello Kitty è sparita di nuovo, ma stavolta non prendo paura, mi incazzo. Spalanco le porte e inizio a guardare in ogni piega dei sedili e in ogni buco. Rivolto tutto, ma non riesco a trovare niente: il peluche è sparito e io a questo punto non so più cosa pensare. Chiudo di nuovo e inizio invece ad esplorare il mio garage per vedere se ci sono telecamere nascoste o altro.
Non trovo niente di niente, ma in compenso quando ricontrollo l’auto il pupazzo è ricomparso ed è sul sedile anteriore del passeggero.
Un brivido mi attraversa il corpo. Non so cosa cavolo sta succedendo, ma non mi piace. Hello Kitty potrà essere anche la cosa più innocente del mondo, ma io non voglio che mi compaia in macchina a questo modo.
Decido quindi di prendere il peluche e di dargli fuoco. Lo so, è una soluzione un po’ drastica, ma meglio non rischiare. Lo porto fuori, trovo uno dei vecchi bidoni di alluminio delle immondizie e porto tutto nel giardino condominiale. Vado a prendere una bottiglia di alcol denaturato e una scatola di fiammiferi e intanto controllo che non stia arrivando nessuno. Dopodiché imbevo Hello Kitty di alcol, la butto nel bidone, accendo un fiammifero e butto dentro anche quello. La vampata che ne esce rischia di bruciarmi le sopracciglia, ma vedere che bell’effetto sta facendo al pupazzo mi tira su di morale. Rimango là a respirare diossina finché il fuoco non si spegne da solo, poi bagno i resti del peluche con un po’ d’acqua, li estraggo e li faccio a pezzi. Butto tutto in un sacchetto e vado ad infilarlo in un cestino a un chilometro dal mio condominio. Fatto questo torno a casa, mi faccio un’altra doccia, scaldo una pizza congelata, guardo un film mentre mangio e poi vado a dormire, beato e felice.
La mattina dopo vado a lavorare e non ci sono pupazzi ad aspettarmi in auto.
Torno a casa e niente pupazzi.
Vado al cinema e niente pupazzi.
Mi dimentico di tutto per due giorni. La mente è uno strumento meraviglioso, non c’è niente da dire. Se vuole può farti dimenticare qualsiasi cosa, e così funziona anche per me.
Almeno finché non ritrovo Hello Kitty sul sedile di guida, all’alba del terzo giorno. E’ praticamente nuova, a parte l’orecchio destro bruciacchiato. Sembra mi stia guardando per farmi sentire in colpa. Non che ci riesca, ovviamente, ma di sicuro non mi sento neanche bene. Vado a lavorare lo stesso, e quando sono in tangenziale lancio il peluche fuori dal finestrino. Non mi piace farlo, sarei un tipo ecologista, io, ma è un tentativo che va provato.
Nei giorni seguenti le cose peggiorano. Continuo a trovare a giorni alterni il pupazzo che mi fissa. Ormai lo lascio in auto e non lo guardo neppure. Poi la radio inizia di nuovo il suo giochetto con i miei CD e mi trovo ad ascoltare musica che neppure Shazam ha mai sentito nominare. Ogni tanto trovo altre cose. Un giorno un attaccapanni, un giorno un dollaro d’argento, un giorno un pettine. Lascio sempre tutti gli oggetti dove si trovano e non li guardo mai due volte.
Dopo una settimana metto la macchina su E-bay e comincio a girare per concessionari per vedere di venderla e procurarmi qualcosa di più affidabile. Non posso rinunciare ad un veicolo perché dove vivo non c’è un servizio di mezzi pubblici decente, ma devo trovare un’altra auto o impazzirò.
E’ mentre sto andando da un concessionario all’altro che la strada dove sono sparisce e io mi trovo nel bel mezzo di quella che sembra la steppa russa. Non ho nemmeno il tempo di connettere che la strada che conosco riappare e mi ritrovo nuovamente immerso in zone industriali e cemento. Mai avrei pensato che vedere capannoni e fabbriche potesse rendermi così felice.
Non so più cosa pensare e non so più cosa fare. Devo liberarmi di quell’auto e devo trovare un altro mezzo di trasporto al più presto. Quando arrivo al concessionario dov’ero diretto quasi non ho la forza di contrattare, prima di firmare e stringere la mano al venditore. Entro una settimana avrò una nuova macchina e tanto mi basta. Avrei voluto fare anche più in fretta, ma la burocrazia e altri casini organizzativi mi impediscono di lasciare direttamente lì la Falcon per andarmene con la mia nuova Renault. Dovrò ritornare quindi, e il pensiero di altri sette giorni di viaggi nella Ford mi spaventa come non mai. Forse avrei potuto andare in un altro concessionario, e poi magari in un altro ancora, ma questo avrebbe aumentato il numero di volte in cui sarei dovuto salire in auto, e con esso il rischio. Rischio di trovarmi in altri luoghi, rischio di perdere la testa. Mi sento sull’orlo di un abisso di follia e non posso pensarci troppo, altrimenti mi troverei a precipitarci dentro urlante.
Prendo la macchina e torno a casa, ringraziando il cielo di non vedere apparire niente di strano durante il tragitto, a parte la solita Hello Kitty che oggi ha portato con sé anche un’amichetta, la cara Peppa Pig. Odio così tanto quel maiale che, anche se so quanto inutile sia, la lancio fuori dal finestrino prima di partire e la lascio nel parcheggio del concessionario.
Quando il giorno dopo devo riprendere in mano la macchina ho finalmente l’illuminazione: noleggerò un’auto per i giorni che mi mancano prima dell’arrivo di quella nuova e guiderò la Ford solo per andare a fare la permuta. Il sollievo che provo è enorme e quasi non faccio caso a Peppa Pig che torna a trovarmi durante il tragitto per andare in azienda.
Questo non impedisce che la lanci dal finestrino un’altra volta. Maledetta scrofa.
Al ritorno non ho niente che mi aspetta sui sedili. In compenso dopo una decina di minuti la strada scompare e io mi ritrovo a guidare in quello che sembra il deserto australiano, circondato da polvere rossa e con davanti un orizzonte infinito. Stavolta la visione non scompare dopo pochi secondi, ma si protrae e io faccio a tempo ad apprezzare il paesaggio. Se la situazione non fosse così terrorizzante, sarebbe perfino un bel posto in cui essere. Peccato che fino ad un momento fa fossi nel bel mezzo del Nordest italiano, dall’altra parte del mondo. Intravedo anche una Holden ferma a lato della strada, poi finalmente mi ritrovo di nuovo nel grigiore del mio paese, a godermi la pioggia e il traffico. Non ci avevo fatto caso l’altra volta, ma sembra proprio che io non sia mai scomparso da dov’ero: la macchina che ho davanti è la stessa e sembra che abbia percorso un po’ di chilometri anche qui, sebbene mi sembrasse di essere in un altro luogo. Il mistero si infittisce, ma io me ne disinteresso: sono ormai davanti alla Hertz e la soluzione a tutti i mali si trova lì.
Prendo accordi con l’impiegato per poter lasciare la Falcon presso di loro per i prossimi giorni, dopodiché ritiro una Honda Civic e me ne torno a casa, felice e pimpante come un ragazzino.
I sei giorni seguenti passano senza incidenti di sorta e io metto in atto per l’ennesima volta la mia tattica di obliare l’intera faccenda. E’ facile dimenticare qualcosa di così completamente fuori dal normale e che disturba la mia concezione di quello che può essere reale o meno. Probabilmente aiuta il fatto che non riesco ancora a credere a quello che sto vivendo.
Il settimo giorno esco prima da lavoro per andare a ritirare la mia Renault. Vado alla Hertz, dove restituisco la Civic e mi avvio verso la mia Ford. Ho un lieve attacco di panico nel momento in cui sto per aprire la portiera e sedermi alla guida, ma riesco a superarlo senza troppa difficoltà. Di qui a mezz’ora sarò in concessionario e allora potrò dire addio ad ogni problema. Noto che anche stavolta non c’è niente sui sedili, ma tento di non preoccuparmi. Prego che tutto resti tranquillo per quei venti chilometri che mi separano dalla salvezza e quindi parto.
Mi trovo immediatamente in un altro luogo. Questa volta la strada attraversa una foresta innevata. E’ notte e riesco solo a intravedere i pini altissimi che mi circondano. Da qualche parte dei lupi stanno ululando e tutto è troppo simile a un film dell’orrore per potermi piacere. Potrebbe essere il Maine di Stephen King, per quello che riesco a vedere, e la cosa non mi ispira molta fiducia, visto che di solito in queste storie il protagonista muore. Continuo comunque a correre, aspettando che ricompaia la mia strada, il mio paese.
Inutilmente.
Dopo dieci minuti non è cambiato niente. Io sono sempre immerso nella foresta e anzi i lupi sembrano ancora più vicini. Ormai sono terrorizzato, e l’unica cosa che mi attraversa la mente è ancora un’altra curva, ancora un’altra curva. Le curve però continuano a susseguirsi e io rimango dove sono. Sto per fermarmi e provare a smontare dall’auto per vedere cosa potrebbe succedere, quando d’improvviso qualcosa investe la fiancata della mia macchina e quasi mi sbalza fuori strada. Io non vedo niente, ma penso proprio che l’idea di fermarsi sia da scartare, al momento. Accelero di nuovo, anzi, e spero di riuscire a togliermi dalle scatole in fretta. Mi accorgo ora che gli ululati si sono interrotti. Subito dopo però l’auto riceve un altro colpo e io riesco a tenerla in strada solo per miracolo. Stavolta intravedo qualcosa, ma questo qualcosa ha il pelo grigio lungo e sporco e delle zanne per niente raccomandabili, e tanto mi basta per non volerne fare la conoscenza. Accelero ancora e vedo che ora la carreggiata alle mie spalle comincia a riempirsi di quelli che sembrano lupi in versione gigante, tutti ad inseguirmi come fossi un bocconcino prelibato. Ogni tanto uno di loro riesce a raggiungermi e si lancia contro la Ford, tentando di farmi capottare. Non capisco come riescano a correre così forte, visto che io ormai sono a tavoletta, ma loro non si pongono il problema di come quello che fanno sia impossibile, lo fanno e basta. Ormai sono ragionevolmente sicuro che ciò che mi sta capitando sia un incubo, ma questo non impedisce a quelle che devono sicuramente essere allucinazioni di tentare di ammazzarmi. Io quindi continuo a scappare, ma vedo un’unica fine possibile a tutto questo, e in questa fine io sono ridotto a spezzatino per cani. So che non dovrei essere spaventato, tutto questo è certamente un incubo, ma in verità mi sto cagando sotto.
E’ quando sta per venirmi addosso un altro dei lupi che mi stanno inseguendo che chiudo gli occhi e quando li riapro sono in un luogo diverso. Non sono tornato indietro, non sono così fortunato, ma almeno non sono più in fuga da un branco di bestie selvagge.
Quella che ho davanti è una strada che ha il mare alla mia sinistra e delle montagne alla mia destra. Il sole splende in cielo, e dalla posizione sembra mattina presto o tardo pomeriggio. In ogni caso è una benedizione rispetto a dove mi trovavo prima. Qui nessuno sta tentando di mangiarmi, tanto per cominciare. Sento che inizio finalmente a rilassarmi e riesco a lasciare andare un sospiro di sollievo. Non sono ancora tornato a casa mia, ma per il momento può bastare.
Continuo a guidare, dimenticando per un momento di non essere dove dovrei, ma godendomi solo il panorama. Non incrocio nessuno, come non ho mai incrociato nessuno neanche le altre volte.
Dopo un paio di minuti sto facendo una curva e d’improvviso sono di nuovo nel mio paese e sto girando dentro al concessionario dove lascerò finalmente la Ford a qualche altro fortunato. Come sempre non c’è stato nessun segnale di transizione e sono semplicemente passato da un luogo all’altro in un battito di ciglia.
Mi lascio invadere dal sollievo al pensiero di avercela fatta nonostante tutto e che d’ora in poi il problema non sarà più mio. Non ho sensi di colpa a riguardo: mors tua, vita mea è un fatto naturale dell’esistenza umana, e se sono costretto ad applicarlo per poter sopravvivere, così sia.
Parcheggio l’auto, la chiudo ed entro in ufficio vendite. Dopo dieci minuti esco con un nuovo paio di chiavi e un sorriso a trentadue denti sul volto. Saluto con la mano la Falcon e vado a prendere la mia Renault. Sono riuscito a salvarmi per il rotto della cuffia e ho intenzione di godermi appieno la nuova macchina e la vita che mi è stata regalata. Il solo guidare fino a casa senza dovermi preoccupare di guardare se ci sono ospiti indesiderati sui sedili dietro è fantastico. Non dover temere di trovarmi in un altro luogo, magari di quelli popolati da animali mostruosi che vogliono ammazzarmi, è ancora meglio.
Il giorno seguente, con la scusa della macchina nuova, festeggio al lavoro con qualche pasticcino, poi la sera vado a sbronzarmi a morte con un paio di amici.
Come mi ero ripromesso vedo di godermi appieno la vita, ed effettivamente tutto mi sembra più colorato e più vivace, adesso che non ho più l’ombra della paura continuamente sopra di me. Vado a lavorare, esco con gli amici, vado a farmi qualche gita fuori porta. Non mi posso lamentare, e in effetti non lo faccio. Anche la mia schiavitù aziendale sembra pesare di meno, e già questo è un buon segno. Ogni tanto penso ancora a quello che mi è successo e al destino della mia Falcon, ma vedo di non farlo troppo spesso, riempendo le giornate di altre attività e preoccupazioni, in modo da non lasciarmi tempo libero per i pensieri. Come diceva quella vecchia pubblicità, sono libero e felice come una farfalla.
Poi oggi entro in auto e mi avvio verso il lavoro. Prendo la tangenziale e mentre guardo lo specchietto retrovisore per controllare le auto dietro di me vedo un lampo bianco e rosa dove dovrebbe esserci solo il grigio tortora dei sedili. Mi volto di scatto, incurante del rischio, e trovo ancora una volta quella stronza di Hello Kitty che mi guarda con fare beffardo. Naturalmente è un pupazzo e non può mostrare emozioni, ma sembra davvero che mi stia ridendo in faccia, mentre io riesco a malapena a girarmi nuovamente verso la strada.
Non è possibile, penso. Non è possibile. Mi rifiuto di crederci.
Mentre così penso il paesaggio familiare in cui sto guidando scompare, e io mi ritrovo immerso nel buio. Attorno a me ci sono solo pini altissimi, neve e una strada che si perde nell’oscurità.
In lontananza un branco di lupi inizia ad ululare.