un omaggio a S.K.
Mi sveglio perché bussano alla porta.
Tengo gli occhi chiusi e tento di riaddormentarmi. Non sono a casa mia e quindi non sono affari miei. Qualcun altro aprirà.
Continuano a bussare, con più insistenza adesso, e sembra proprio che nessuno senta o voglia andare ad aprire. E come dar loro torto, è piena notte e siamo ancora tutti in preda agli effetti dell’alcol. Sento già un inizio di mal di testa a livello delle tempie e il picchiare delle nocche sulla porta non aiuta. Impreco, aspetto un altro po’ per vedere se qualche anima gentile andrà ad aprire e quando ciò non avviene mi tiro su. Il mal di testa aumenta, accompagnato da tutti i dolori che il dormire su un divano per nani porta a uno come me alto più di un metro e ottanta. Avanzo lentamente fuori dalla stanza e con calma arrivo alla porta. Sbircio dallo spioncino e vedo la donna più idiota del mondo che guarda ansiosa verso di me e bussa ancora, facendo vibrare l’uscio. La conosco, e proprio per questo sarei tentato di lasciarla fuori, ma non è casa mia, e so invece che dovrei farla entrare.
Mi godo la sensazione di potere per qualche secondo, dopodiché giro la chiave e faccio per abbassare la maniglia. Mi blocco però all’ultimo momento e la mia mano si paralizza. Ho visto qualcosa dietro la donna. Aspetto, spero che non si sia sentito il rumore della chiave, e nel contempo tengo l’occhio incollato allo spioncino. Ecco! Ora ne sono certo. Ci sono due uomini dietro di lei. Anche se non vedo armi in mano a nessuno dei due, il mio cervello fa lo stesso uno più uno e penso subito ad un tentativo di rapina con lei come esca per riuscire a farsi aprire. La faccia sempre più disperata che mi fissa dallo spioncino è quello che mi dà da pensare, in particolare. Lei nel frattempo bussa di nuovo e la vibrazione della porta mi spacca il cervello. Non ho molto tempo per riflettere sul fatto di essere troppo paranoico, perché ad un certo punto uno dei due uomini sembra perdere la pazienza, viene verso di me e prende la maniglia, puntando nel contempo la spalla contro l’uscio. Io smetto di guardare dallo spioncino e concentro le mie energie nel tenere la maniglia in posizione e non cedere contro la sua forza. Lui spinge un po’, poi capisce che c’è qualcosa di strano e subito dopo sento anche il suo amico arrivare per dargli una mano a sfondare la porta.
E’ a questo punto che io smetto di voler fare il discreto e inizio ad gridare aiuto.
***
Qualche ora prima
Arrivo all’appartamento di Jonathan che già sono pentito di avere accettato il suo invito. Non sono più abituato a venire in città e dovermi districare tra il traffico dei pendolari è qualcosa che mi fa accapponare la pelle. Lo faccio perché è un vecchio amico e perché, nonostante tutto, questa amicizia è qualcosa che è rimasta nel tempo, sin dai tempi della nostra adolescenza, delle bravate, dei sogni condivisi. Ricordo i discorsi profondi, ingenui e ambiziosi che facevamo insieme, ricordo il legame che ci teneva interi attraverso quel periodo nero che porta all’età adulta. Ricordo come discutevamo di quello che avremmo fatto della nostra vita, di quale grandezza avremo raggiunto. Ricordo tutto, ed è questo che mi porta qui, adesso, nonostante niente sia andato come pensavamo.
L’appartamento è uno delle decine che affollano questo complesso di condomini che mi fanno venire in mente i formicai. Non è un pensiero molto originale per uno come me, ma non puoi sempre comandare quello che ti passa per la testa.
Eccomi qui, dunque, in un venerdì sera qualsiasi, per festeggiare con il mio antico amico la sua nuova casa. Come se aver incatenato il suo destino economico e quello della sua ragazza per i prossimi di trent’anni sia qualcosa da celebrare. Come se aver sigillato ufficialmente il definitivo tuffo nella grigia massa sia qualcosa per cui io debba congratularmi. Macchina a rate nel parcheggio sotto casa, mutuo con la banca, lavoro in ufficio e la gabbia con il criceto in soggiorno, giusto per ricordarti quello che sei diventato davvero. Stappiamo lo spumante del supermercato e ubriachiamoci per non doverci pensare. Niente è andato come pensavamo, ma questo mi sembra di averlo già detto.
Quando arrivo alla porta dell’appartamento ho già deciso che, a costi di dormire in auto, questa sera io non lascerò questo posto sobrio. Per quanto siano anni che non mi ubriaco, oggi è il giorno giusto per farlo. Devo annegare l’ondata di nostalgia e rimpianti che minaccia di travolgermi. Mi stampo un sorriso in faccia, preparo il mio arsenale di frasi fatte e busso alla porta. Mi apre Sandy. Che lo spettacolo abbia inizio, penso.
– Ciao carissima, come stai? Finalmente ci rivediamo! –
– Ciao Niso! Entra, entra. Davvero tantissimo che non ci si trova. Era ora sul serio! Dovevamo comprare una casa per farti uscire dalla tua tana? –
Rido e sento un po’ di negatività evaporare dalla mia anima. Sandy, la ragazza di Jonathan, non è così male, dopotutto. Anche la serata magari non sarà così male. Spero.
Mi faccio strada nell’appartamento, emettendo i giusti suoni di stupore e piacere al vedere il salotto, la sala da pranzo, la stanza degli ospiti, la camera da letto principale, e anche il bagno. Riservo i miei complimenti migliori per la cucina, perché so quanto ci tenga: Jonathan me ne ha parlato a lungo quando ci siamo sentiti. Lui non è ancora arrivato, mi informa Sandy, è stato trattenuto in ufficio. Io sorrido a denti stretti e le dico che capisco, ma devo mordermi la lingua per non iniziare a filosofeggiare e bestemmiare contro il Sistema. A nessuno piace quando inizio a predicare, men che meno a me. Lo stesso destino ritardatario ha colpito anche gli altri invitati, a quanto pare. Io sono l’unico in orario, ma dopotutto sono anche l’unico a non lavorare in ufficio dal lunedì al venerdì, anche se abito ben fuori città. Sono un bastardo fortunato.
Chiacchieriamo per un’altra decina di minuti in cucina, poi finalmente sentiamo la porta aprirsi e Jonathan fa la sua comparsa, trafelato e senza fiato.
– Ciao amore! Ciao Niso! Quanto tempo! –
Mi viene ad abbracciare e la cosa quasi mi commuove, nonostante la mia ritrosia verso i contatti fisici. E’ tanto tempo davvero che non ci vediamo, anche se siamo rimasti in contatto, ma sotto le nuove stempiature e le nuove rughe il mio amico sembra sempre lo stesso.
– Scusate il ritardo, ma lo stronzo del mio capo mi ha dato da fare un report sulle vendite mezz’ora prima delle cinque e ho dovuto finirlo e mandarglielo subito, in modo che se lo possa trovare pronto lunedì mattina. A volte lo odio proprio questo lavoro. –
Sandy lo guarda storto. Lui si affretta a continuare.
– Non è che lo odio, ma certi giorni la gente è proprio pesante, sai. No, dai, non è così male, non posso lamentarmi. Almeno posso pagarmi questa casetta, eh, Niso? Che ne dici? Sandy te l’ha fatta esplorare? –
Io annuisco e lo tranquillizzo, ricorrendo alle solite frasi su quanto grande sia il posto, quanto sia ben tenuto, quanto sia ben illuminato e blablabla. La mia bocca va in automatico, mentre penso ai nostri sogni giovanili, quando io pianificavo di diventare lo Shakespeare del mio secolo, e lui invece sognava di essere il nuovo Van Gogh, ma con entrambe le orecchie. Ora siamo invece immersi nel bel mezzo della bassa borghesia di città e alle pareti della sua nuova casa non ho visto nemmeno una delle sue opere.
Ci aggiorniamo un po’ sulle ultime novità che ci riguardano, mentre finalmente iniziano ad arrivare gli altri ospiti. Colgo l’occasione quando Sandy si allontana per chiedergli:
– Ma non hai appeso ai muri nemmeno un tuo quadro o un disegno? Hai smesso del tutto? –
Jonathan mi guarda, per un attimo tace, poi dice:
– Non ho avuto molto tempo ultimamente, col trasloco e il lavoro. E i vecchi disegni li ho lasciati a casa dei miei. Non erano molto adatti allo stile di arredamento che volevamo per il nuovo appartamento. –
Sento la voce della sua ragazza dietro a queste parole, e penso alle opere che il mio amico aveva creato, prima che diventare un manager diventasse la priorità. Disegni surreali, potenti, a volte pazzeschi. Non quadri che ti lasciassero indifferente, quelli che vedi, dimentichi, e passi oltre per vedere qualcos’altro. Effettivamente non opere che potessero stare bene in una casa come questa.
Annuisco e faccio finta di capire, ma non mollo l’osso. Il mio amico lo merita.
– Immagino. E invece per quanto riguarda nuovi quadri? Stai lavorando a qualcosa di interessante che puoi farmi vedere? –
So già la sua risposta, ma il mio obiettivo è metterlo di fronte a se stesso, non vedere nuovi dipinti.
– Eh, come ti ho detto, ultimamente sono stato molto impegnato col lavoro e con la nuova casa. Non ho avuto tempo di fare granché. E poi qui per adesso non ho uno spazio adatto, devo prima crearne uno apposta. Dopo credo che ricomincerò a fare qualcosa… –
Non mi faccio impietosire e affondo.
– E quindi da quanto è che non fai niente? –
– Boh, sarà…un paio d’anni ormai. –
Sembra anche lui stupito delle sue parole. Io no. So come vanno queste cose, e non è sorpresa quella che provo. Tristezza, piuttosto. Voglia di bere, in particolare.
Lascio perdere adesso, ma questo non significa che mi sia arreso. Sono un “fottuto calcolatore”, come una mia ex mi ha definito una volta pensando di offendermi, e decido in quel momento di aspettare che l’alcol inizi a scorrere, prima di tornare all’attacco. Non me ne andrò da questo posto senza un post-sbornia e senza una sua promessa. Non lascerò un amico in balia della mediocrità e delle idee della sua ragazza. Riaccenderò il suo fuoco, a costi di incendiargli l’appartamento. Mi viene in mente un certo Tyler Durden, ma scaccio il pensiero.
Mi lascio condurre in salotto, dove nel frattempo sono arrivati tutti gli altri invitati, in fila compita come chierichetti in processione ad esplorare la nuova casa di Sandy e Jonathan e a rimanere debitamente meravigliati e a esprimere i più fantasiosi complimenti.
– Le tende del bagno sono davvero naïve, Sandy! –
E’ dopo averle sentito fare questo commento che conosco la donna più idiota del mondo, che risponde al nome di Deborah. Sì, proprio di quelle con l’acca. Nonostante la cazzata appena proferita io sono un ottimista e decido di darle il beneficio del dubbio, per cui mi presento con un sorriso sulle labbra. Gli occhi che mi fissano sotto il pesante trucco mi dicono già che qui non sussistono dubbi, ma io mantengo la mia mentalità positiva fino a che non fa un altro commento stupido, questa volta sul mio nome. Da quel momento lei diventa ufficialmente “la donna più idiota del mondo” e la mia certezza non sarà più scossa per tutta la serata.
Gli altri due invitati sono invece un’altra coppia. Lui si chiama Davide, e ha conosciuto Jonathan al lavoro, mentre lei, Jessica, a quanto pare è una delle migliore amiche di Sandy. Oltre a Deborah, ovviamente. Quest’ultima doveva essere accompagnata a sua volta, ma a quanto pare il suo ragazzo stamattina ha avuto un attacco di diarrea post-sushi e non si è ancora recuperato. Lei ovviamente non ne parla così, ma dice qualcosa come “ha avuto un problema di pancia, sai, forse per colpa del ristorante giapponese di ieri”. Chiamalo come vuoi, il poveretto in pratica si è consumato sulla tazza del water ed è ancora a pezzi.
E’ in quel momento che Sandy si azzarda a farmi la domanda.
– Ma non dovevi venire anche tu con la tua nuova ragazza? –
– Non ho più una nuova ragazza, in verità. Per quello avevo detto a Jonathan che cenavo solo io stasera. –
– E posso chiederti come mai? –
No, cazzo, fatti gli affari tuoi. La mia mente velocemente passa in rassegna diverse risposte possibili, per poi decidermi infine a dire la verità.
– Mmmmm…ecco, ho scoperto che non aveva letto un solo libro da dieci anni a questa parte, e che l’ultimo era stato uno di Fabio Volo. –
Lei e gli altri mi guardano come se avessi iniziato a parlare aramaico antico. Perfino Jonathan sembra perplesso.
– E quindi? –
– E quindi niente. Non ero comunque molto convinto della possibilità sul lungo termine con lei, e questo è stato un segno del destino che non eravamo adatti l’uno all’altra. –
– Solo perché non legge libri? –
– Sì. E perché l’ultimo è stato uno di Fabio Volo, non dimentichiamocene. –
Dopo questa mia risposta ottengo un altro po’ di silenzio perplesso, poi la cara Deborah spazza via ogni rimasuglio di dubbio che potessi avere su di lei.
– Almeno io mi sono letta Cinquanta sfumature di grigio, l’anno scorso. –
Sentito questo, rimane solo una cosa che posso dire:
– Jon, allora lo tiriamo fuori ‘sto vino o cosa? –
Cinque minuti dopo siamo tutti attorno al tavolo della cucina a mangiare patatine e bere prosecco, aspettando che Sandy dia gli ultimi ritocchi alla cena. Nel frattempo Jessica vuole approfondire la mia conoscenza e mi chiede dove vivo, cosa faccio e alla fine di nuovo perché sia stato così importante che la mia ex non leggesse. Quando le dico che vivo in una casa in collina e che di mestiere faccio lo scrittore, lei sembra guardarmi diversamente. Non capisco mai se quando iniziano a fissarmi con quello sguardo è pietà o invidia. In ogni caso ho smesso di interessarmene dopo le prime volte in cui è successo. Di solito comunque il tipo di gente che mi guarda strano di fronte a quello che sono o a quello che faccio non è il tipo di persone che frequento o di cui mi interessi approfondire la conoscenza.
Svio i discorsi su di me chiedendo invece a loro qualcosa della loro vita, per quanto mi basti guardarli in faccia per indovinare quasi tutto. In ogni caso l’importante è deviare la loro attenzione da me, e in questo riesco benissimo.
Lei è l’assistente personale di un importantissimo amministratore delegato che io non ho mai sentito nominare, lui il coordinatore dell’ufficio dove una volta anche Jonathan lavorava. E per quanto ci provi non riesco a evitare di dover ascoltare innumerevoli aneddoti su quello che ogni giorno gli capita al lavoro. Me la sono voluta, dopotutto. Non chiedo niente a Deborah, ma lei si sente lo stesso in dovere di dire che lei invece si occupa di customer service e recupero crediti. Lo scambio di aneddoti sui clienti raggiunge il parossismo e io mi isolo un po’, tenendo nelle vicinanze il prosecco. Sono passato anch’io per quei lavori e li capisco, ma questo non mi impedisce di essere annoiato a morte da quel tipo di discorsi.
Per fortuna alla fine arriva il momento di sedersi a tavola per cena e io mi ritrovo ad essere ancora più contento di essermi liberato della mia ex ragazza. Se anche il fidanzato di Deborah non avesse sofferto di problemi intestinali saremmo stati davvero in otto persone, e almeno uno di noi si sarebbe trovato a mangiare sul divano. Per quanto grande sia l’appartamento, l’idea alla base di questi formicai è forse che i medio poveri non devono avere eventi sociali in casa oltre una certa portata.
La cena non è per niente male e me la godo, confortato anche da varie bottiglie di vino rosso che faccio sempre in maniera di avere vicino a me. Dopo un po’ d’alcol anche la compagnia finalmente si lascia un po’ andare e si comincia ad avvertire un po’ di sincerità nell’aria e un po’ di vero divertimento. La serata avanza a grandi passi, tra lambrusco, cabernet e amari vari, fino a che non ci ritroviamo a giocare a poker circondati da gusci di arachidi, tappi di bottiglia e bicchieri. Riesco a mantenere la promessa che avevo fatto a me stesso e intrappolo Jonathan quando siamo entrambi ad un livello di alcol nel sangue adeguato a fare discorsi seri. Parliamo a lungo e alla fine riesco ad ottenere la sua parola che ricomincerà davvero a disegnare e a fare qualcosa di più della sua vita, oltre a lavorare e ad andare agli aperi-cena (quanto odio questa parola). Non si può fare affidamento sulla promessa di un ubriaco, ma ho intenzione di tormentargli l’anima da oggi in poi, e fare in modo che la mantenga.
Quando ormai l’ora inizia a farsi tarda decidiamo che nessuno di noi è davvero in grado di guidare ed è quindi il momento di inaugurare la stanza degli ospiti e il divano. Ovviamente Davide e Jessica sono destinati ad avere la camera. Io e Deborah siamo quindi in una situazione di imbarazzo, ma io decido che dormire in sacco a pelo è quanto di meglio si possa desiderare, così che lei possa tenersi il divano. Per festeggiare l’accordo preso e per dare il saluto finale alla serata ci beviamo l’ultimo giro di amari, poi la donna più idiota del mondo si accorge di aver finito le sigarette e decide di andare a prendersene subito un pacchetto. L’idea non è delle migliori, visto che sono le due di notte e che camminare in giro in cerca di un distributore di cicche a quell’ora, fossi anche nella città più sicura del mondo, non è consigliabile. Lei però non si smuove dalla sua idea: è rimasta brava e buona finora senza fumare, ma ora ne ha proprio bisogno e non può dormire se prima non riesce a farsi qualche tiro. E poi è sicura di aver visto un distributore per strada, qui vicino. L’alcol è di sicuro dietro a questa sua ostinazione e mi ritrovo perfino a offrirmi di farle almeno compagnia per il tragitto, ma lei insiste che preferisce andare da sola. Sono certo che ci sia qualcosa sotto e che probabilmente vada in cerca di qualcosa di più di semplici sigarette, ma comincio a essere stanco e a quanto pare è lo stesso anche per gli altri. La lasciamo andare e le raccomandiamo di tornare subito, quindi ritorniamo al tavolo della cucina, facciamo le ultime due chiacchiere e poi ognuno di noi va verso il suo giaciglio.
Io mi dirigo verso il sacco a pelo che mi hanno destinato, poi a metà strada cambio idea e mi butto sul divano. Per quanto piccolo sia, è sempre meglio che dormire sul pavimento della cucina. Di sicuro Deborah tornerà a breve e dovrò cederle il posto, ma finché non accade non vedo perché non approfittare.
E’ da qui e dal mio sonno alcolico che vengo strappato, poco più di un’ora dopo.
***
– Jonathan! Davide! Cazzo, qualcuno venga ad aiutarmi! –
Le mie urla sembrano non avere effetto e sento che la porta sta per venirmi strappata di mano e l’uscio spalancato. Non mi fido nemmeno a lasciare andare la maniglia per girare di nuovo la chiave. Dall’altra parte sono in due a fare forza e mollare anche solo una mano significherebbe perdere tutto. Sto usando ogni stilla della mia energia, ma è a malapena abbastanza, e tra poco nemmeno quello.
Finalmente sento dietro di me i passi di qualcuno lungo il corridoio. Non mi giro a guardare chi è, ma urlo:
– Venite ad aiutarmi a tenere la porta, cazzo! Presto! –
Dopo quelli che sembrano dieci minuti, ma probabilmente sono solo pochi secondi, Davide finalmente arriva e si punta contro la porta con me.
– Cosa sta succedendo? Chi c’è dall’altra parte? –
– Ma che ne so, spingi e aiutami con la maniglia! –
Nel frattempo arriva anche Jonathan, ma io lo allontano e gli dico di andare a prendere un’arma, un bastone o qualcos’altro. Non so ancora cosa fare, ma devo ricordarmi che fuori c’è anche Deborah e qualcosa bisogna fare. Fuori dalla porta intanto sento i grugniti dei due uomini che stanno tentando di entrare. Io e Davide bastiamo a malapena per impedirglielo, e l’arrivo di Jessica e Sandy ad aiutarci a spingere è più che benvenuto. Non capisco perché i due non mollino l’osso e non se ne vadano, ma non ho il tempo di preoccuparmene davvero. Quando Jonathan arriva stringendo in mano un mattarello e una mazza da cricket (devo chiedergli che ci fa a casa sua una mazza da cricket, appena questa storia sarà finita), io gli strappo di mano il mattarello, mi sposto per lasciare a spingere solo Davide e le ragazze e poi dico:
– Al tre mollate la porta e spostatevi subito indietro, ok? –
Sembra intuiscano quello che voglio fare e annuiscono. Io guardo Jonathan, che annuisce a sua volta ad indicare che anche lui ha capito, e poi inizio a contare.
Quando Davide e le ragazze si spostano indietro all’unisono i due uomini fuori vengono catapultati ai nostri piedi dalla loro stessa forza ed è a quel punto che la situazione diventa un casino. Io e Jonathan li iniziamo a pestare con mattarello e mazza mentre sono ancora a terra. Ci metto così tanta forza che la mia quasi-arma si rompe contro l’osso di qualcuno e io sono costretto a continuare a picchiare a mani nude. La mazza da cricket del mio amico invece non ha di questi problemi, e lui sembra intenzionato a fare più danni possibili, senza badare a dove colpisce. Gli uomini sul pavimento non riescono nemmeno ad alzarsi, sopraffatti dalla gragnuola di botte che gli stiamo infliggendo. Non emettono suono, a parte qualche grugnito, e la cosa non mi piace per niente. Ad un certo punto uno dei due riesce ad allungare una mano e a tirarmi a terra con loro. Per mia fortuna Jonathan ha i riflessi di un gatto e il tipo non riesce ad approfittare della situazione, perché viene colpito alla testa da quella che avrebbe potuto benissimo essere una battuta da fuoricampo, se fossimo in un campo da cricket. Il suo cranio emette un suono pauroso, ma quando mi sto aspettando di vederlo almeno collassare a terra, lo vedo invece girarsi verso il suo compagno e, senza dire una parola, scappare insieme fuori dalla porta, evitando Jonathan senza fatica. Lui sembra mezzo intenzionato a inseguirli, poi invece si gira e mi aiuta a rialzarmi. Esco subito a controllare che non stiano tornando e a vedere di recuperare Deborah, sperando sia sana e salva. Non mi starà molto simpatica, ma non per questo le voglio del male. La troviamo seduta per terra, dietro l’angolo, con la testa tra le gambe. Nessun segno dei due sconosciuti, invece, e non potrei esserne più felice. Mormorando parole di incoraggiamento riesco a far alzare la ragazza, che al momento non sembra in grado di parlare, poi la porto dentro e dico a Jonathan di chiudere e sbarrare la porta.
Con calma riesco ad accompagnare Deborah in salotto, dove Jessica e Sandy la fanno sedere sul divano, per poi portarle un po’ d’acqua. La lascio alle loro cure per qualche minuto, mentre vado ad assicurarmi che tutte le finestre e le persiane siano chiuse e sbarrate. Siamo al terzo piano di un condominio, ma non riesco a essere comunque tranquillo. Nel frattempo Davide e Jonathan mi stanno addosso chiedendomi cos’è successo, e io glielo racconto prestando attenzione solo con metà della mia mente a quello che sto dicendo. L’altra metà tenta di riflettere su quello che ha visto e nel contempo prova ad immaginare eventuali altre vie d’entrata a cui potrei non aver pensato. Dovremmo essere a posto, ma quando dico a Davide di chiamare la polizia e lui mi dice che trova sempre occupato, capisco che non lo siamo per niente.
Forse Deborah può avere qualche risposta.
Mi vado a sedere sul tavolino in salotto, giusto di fronte a lei, e interrompo le ragazze che stanno tentando inutilmente di cavarle qualcosa di bocca. Sembra essere in pieno shock, anche se non vedo segni di violenza sul suo corpo, a parte delle abrasioni sui polsi.
La guardo per alcuni secondi. Lei fissa per terra e non dà segno di vedermi. Con gentilezza allungo una mano e le sollevo il viso, per riuscire a fissarla negli occhi.
– Deborah, abbiamo bisogno di te adesso. So che hai vissuto un’esperienza terribile, ma devo chiederti di tornare in te e di dirci quello che è successo. –
Lei non risponde a me come non ha risposto alle sue amiche. Dopotutto chi sono io, se non un altro sconosciuto? La capisco, e capisco lo shock.
– Deborah, per favore. C’è qualcosa che non quadra con questa storia e abbiamo bisogno di sapere cos’è successo là fuori. Parlaci, ti prego. –
Nessuna risposta. Povera ragazza. La capisco, non c’è che dire. Per questo le tiro uno schiaffo che le fa girare la testa. Poi devo subito difendermi dalle altre due ragazze che sembrano volermi spaccare i denti, ma Deborah nel frattempo sembra essersi svegliata dal suo torpore e mi fissa sconvolta.
– Ma che cazzo fai? Mi meni? Ma sei stupido? –
– Scusa, ma eri completamente fuori, dovevo provarci per vedere se riuscivo a svegliarti. Ci sono riuscito, no? –
Sorrido mentre le parlo, ma questo non impedisce che lei mi tiri a sua volta uno schiaffo da lasciare lo stampo.
– Ahia. Beh, me lo meritavo, forse. –
– Sì che te lo meritavi, stronzo! –
– Forse, ho detto – rispondo, tentando di sorridere ancora, accondiscendente. Continuo:
– Adesso che ti sei sfogata, però, puoi dirci cos’è successo lì fuori? Quei due tipi non sembravano rapinatori e si comportavano in maniera strana. Appena riusciremo a contattare la polizia li faremo venire qui, ma per adesso la linea sembra sempre occupata. –
– Provate ancora, è impossibile che sia occupato! –
– Lo stiamo facendo, ma intanto vorrei sentire da te cos’è successo. –
La storia che ne viene fuori, nella confusione dovuta all’alcol che Deborah aveva ingerito e al suo essere in ogni caso la donna più idiota del mondo, è ben poco tranquillizzante.
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A breve la seconda e ultima parte
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