Perché scrivere storie?
Perché decidere di investire le proprie energie nel rimanere seduti ad una scrivania a cercare di tirare fuori dalla propria testa racconti su persone e cose mai esistiti? Perché passare il proprio (poco) tempo libero a fissare uno schermo e battere sui tasti, in cerca della parola giusta, della frase giusta, del ritmo giusto? Per poi magari stracciare il lavoro di ore e giorni in un secondo, quando ti rendi conto di non essere riuscito a rendere quello che volevi esattamente nella maniera che volevi?
Rispondere a questo sarebbe facile, se ci si accontentasse di un “perché adoro farlo”. Dopotutto la scrittura è una passione: non ci deve essere un motivo particolare per praticarla, e soprattutto non ci deve essere un altro scopo nel raccontare storie, se non quello appunto di raccontarle. Ma se non ci si accontentasse di un semplice “perché sì”, allora si potrebbero citare le parole dell’Arianna di Inception: “perché è Creazione pura”.
E come meglio descrivere le possibilità che offre quest’arte? Scrivere storie è creare mondi dal nulla, è mettere ordine nel caos, è tessere arazzi dall’aria. E’ creare nel vero e proprio senso della parola, e cosa c’è di più eccitante di questo? A meno che tu non stia progettando di scrivere un film, non devi nemmeno di preoccuparti di budget o fattibilità pratica. Puoi far comparire draghi da universi paralleli, inventare futuri in cui mille razze convivono in mille diversi pianeti, puoi far devastare la Terra da un asteroide, e tutto al solo costo della carta su cui stamperai il tuo libro, se mai lo stamperai.
Quando Stephen King parla dell’arte dello scrivere storie, spiega come per ogni autore il processo sia diverso. Per qualcuno è come prendere d’assedio un castello, provando vari accessi e varie strategie. Per qualcun altro è come accendere un fuoco nella notte, in una prateria deserta. Uno alla volta i vari personaggi vengono a riscaldarsi al tuo falò, e la storia si forma. Per altri (me, ad esempio) è invece come creare una scultura: vedi il blocco di marmo davanti a te, e in quel blocco vedi una forma. Da quel momento in poi il tuo lavoro è tirare fuori da quella massa informe quello che solo tu sei riuscito a vedere. Dipende dalla tua abilità riuscire a scolpire il marmo in quello che tu sai esiste, ma che ancora non si vede. Devi avere gli strumenti adatti e devi saperli usare: un colpo sbagliato e il marmo va in frantumi, oppure quello che realizzi dopo tanta fatica è solo una versione difettosa di quello che avrebbe potuto essere. E allora quale delusione, quale frustrazione.
Per questo l’unico sistema per riuscire a liberare dalla roccia la storia che ci vive dentro, e farlo in modo che la sua forma sia il più vicino possibile alla perfezione, è scrivere e ancora scrivere. Devi affinare le tue capacità a fondo se vuoi rendere reale quello che solo tu al momento riesci a vedere. Come per la corsa, devi imparare la tecnica e allenare la tua forza per riuscire a fare bene. A volte ti arriva in dono un blocco di marmo in cui la forma grezza è già presente, e allora il tuo lavoro è più semplice, anche se non meno delicato. A volte, la maggior parte ad essere sinceri, vedi la forma finale molto vagamente, e allora devi fare del tuo meglio prima per cercarla, e poi per renderla al meglio.
Pochi, e non sempre i più meritevoli, riescono ad essere pagati e a fare una professione di ciò che scrivono (qualcuno ha detto Cinquanta sfumature di grigio?). Questo però non è il punto fondamentale e, soprattutto, questo non toglie dignità ad un’arte che è impressa nella Storia dell’Umanità e che, oltre a quella scritta, trova mille altre forme, come nei fumetti, nei film o nella fotografia.
Il punto fondamentale rimane un altro, e cioè trasportare il lettore o lo spettatore in un altro mondo, farlo divertire, farlo spaventare, fargli vivere esperienze che magari gli sarebbero altrimenti sempre negate. Il punto è conquistargli il cuore, farlo innamorare di personaggi che nemmeno esistono, almeno in questa realtà. E se nel frattempo riuscirai anche ad aprirgli gli occhi su qualche Verità, a mostrargli qualcosa che non era mai riuscito a vedere o a capire, tanto meglio. Dopotutto anche Stephen King scrive che il romanzesco è la verità dentro la bugia, e questo lo capisci ogni volta che finisci una storia che davvero ha un valore. Lo avverti nella tua anima, perché ti lascia qualcosa dentro: non sei più la stessa persona che eri prima, sei qualcosa di più, anche solo di un infinitesimo. Questo è qualcosa che ho imparato fin da quando ero piccolo, ascoltando le storie che mia nonna raccontava.
Probabilmente non tutti hanno avuto la fortuna di avere una nonna come la mia. Per quanto anche lei abbia i suo difetti, una cosa in cui però brilla in maniera assoluta è la sua abilità nel raccontare storie. Erede di una tradizione in cui i racconti erano perlopiù orali e venivano tramandati a memoria, avere la possibilità di ascoltarla raccontare avvenimenti passati o favole per bambini significa rimanere rapiti dal fascino ipnotico delle sue parole. La maestria con cui riesce a tessere la trama di una storia, creando momenti di suspense e climax da far invidia al migliore Nolan, è qualcosa che le scorre nel sangue e che ha affinato negli anni, come ogni buon narratore. E’ anche da lei che ho imparato il valore di una buona storia, oltre che dalle migliaia di libri che ho letto nella mia vita. Ed è anche da lei e dai suoi racconti che ho imparato un altra cosa fondamentale, e cioè che una vita degna di essere vissuta è una vita in cui non ti limiti ad esistere, ma in cui crei qualcosa di buono, per te stesso e per gli altri. A ben vedere, e non sono io a dirlo, una vita degna di essere vissuta è infatti essa stessa una bella storia.
Qui, nel Regno di OZ, è dove tutto questo inizia, partendo proprio dal creare e condividere con il mondo racconti e, a volte, riflessioni.
Qui è dove si si comincia a vivere una bella storia.
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