Dimenticanze

Mi sveglia un rumore, ed è la quarta notte di seguito che succede.

Forse me lo sono sognato, ma non ho intenzione di scoprire se sia davvero così o no, per cui faccio come ho fatto le altre volte: mi giro e tento di riaddormentarmi.

Questa volta però il rumore (qualcosa che viene trascinato?) si ripete. Il cuore inizia a pompare più forte e all’improvviso sono completamente sveglio. Spalanco gli occhi nell’oscurità e rimango immobile e senza respirare per quelli che sembrano almeno cinque minuti.

Nulla.

Rilascio lentamente il respiro che ho trattenuto finora e tento di rilassarmi. Sono troppo teso, di sicuro ho udito cose che non ci sono. Mi impegno per crederci e chiudo di nuovo gli occhi.

Al piano di sotto, qualcosa cade con un tonfo.

Sono in piedi fuori dal letto senza nemmeno accorgermene. Mi avvicino piano alla porta e controllo che sia chiusa a chiave. Lo è, e io tiro un piccolo sospiro di sollievo. Se c’è qualcuno, l’unica cosa che posso sperare è che siano dei ladri. Molto meglio dell’alternativa, visto che è quasi Natale.

Merda.

Non mi ricordo se ho lasciato le offerte sopra al tavolo del salotto. Nemmeno un anno che vivo da solo e mi sono già dimenticato della cosa più importante di questo periodo.

Tento di riflettere.

Il piattino coi biscotti. Il bicchiere di latte. Il ditale di sangue.

Mi ricordo chiaramente di averli messi domenica. Ricordo bene anche lunedì e martedì, ma non ricordo ieri sera. Cazzo, cos’ho fatto ieri sera? Ero al pub con i ragazzi, poi sono tornato, ho bevuto un paio di bicchieri d’acqua e… e dopo sono andato a letto, ma vuoi che me ne sia dimenticato? Non è possibile. È una cosa troppo radicata, un’abitudine troppo importante. Non posso essermene dimenticato.

Eppure non ne sono sicuro. E se non ho esposto le offerte, non sono certo i ladri quelli di cui dovrei preoccuparmi.

Guardo l’ora. Sono le due e quaranta. Forse sono ancora in tempo. Se i rumori che ho sentito erano solo scricchiolii della casa, forse sono ancora in tempo. A Natale però manca poco più di un giorno e io ci penso sopra. Potrei fare finta di nulla e magari potrebbe andarmi bene lo stesso. Ma se lui passa e le offerte non ci sono, è finita.

Aguzzo le orecchie. Non sento nulla.

Devo andare a esporre le mie offerte, anche se è tardi, anche se è già la Vigilia, anche se lui potrebbe essere di sotto ad aspettarmi. Perché se non lo faccio e i rumori che ho sentito non sono niente e lui passa dopo e non trova quello che deve trovare, il mio futuro sarà breve e pieno solo di sangue e dolore.

Devo scendere.

Appoggio una mano alla maniglia e con l’altra giro lentamente la chiave, attento a fare meno rumore possibile. Non so se sotto ci sia davvero qualcuno, ma non voglio rischiare. Socchiudo la porta e guardo il breve corridoio che porta alle scale. Il chiarore della luna che arriva dai lucernari mi permette a malapena di vedere qualcosa, ma conosco bene la mia casa e posso arrivare giù senza problemi. È probabile che non ci sia nessuno, ma perché accendere la luce se posso evitarlo?

Un piede dopo l’altro mi incammino verso le scale. Scendo gli scalini uno ad uno, lentamente, appoggiandomi al corrimano. Mi abbasso quando sto per essere esposto alla vista e sbircio oltre il muro.

In salotto non c’è nessuno. Guardo verso il tavolo e vedo quello che temevo.

Non c’è nulla: nessun piattino, nessun bicchiere, nessun ditale.

Mi sono completamente dimenticato dell’offertorio. Solo una settimana all’anno, e io non sono stato capace di ricordarmene. Le uniche cose che mi possono tenere al sicuro in questo periodo maledetto, e me ne dimentico. L’albero di Natale l’ho fatto, ma è solo una parte. Se non c’è il latte, se non ci sono i biscotti, se non c’è il sangue, è tutto inutile. Magari non li prende nemmeno, magari lascia tutto lì, ma devono esserci.

E io me li sono dimenticati.

Prima di mettere piede in salotto mi assicuro che non ci sia nessuno. Non riesco a vedere in cucina o in entrata, ma dovrò accontentarmi. Devo scendere e tirare fuori dalla dispensa le mie offerte, e devo farlo in fretta.

Mi muovo silenzioso, puntando alla cucina. Non esito, ma vado piano, controllando dietro a ogni ombra. Solo quando arrivo alla porta mi fermo. Dovrei sbirciare oltre lo stipite, ma la paura mi blocca.

E se è lì che mi aspetta?

Lentamente, lentamente infilo la testa oltre la porta.

Non c’è nessuno. Solo il frigo mi fissa dall’altra parte della cucina e io sento che ogni muscolo del mio corpo finalmente si rilassa e il respiro rallenta. Sono ancora in tempo.

Entro e tiro giù in fretta un piatto e un bicchiere. Riempio di biscotti il primo e di latte il secondo, poi tiro fuori da un cassetto il ditale cerimoniale e un coltello. Non è necessario riempirlo, per cui basta che mi tagli un polpastrello e il sangue dovrebbe bastare.

Al di là del muro sento di nuovo il rumore di trascinamento e questa volta lo riconosco. Mi cade a terra il coltello e me la faccio addosso nello stesso momento. Mentre il puzzo del mio stesso piscio mi riempie le narici, allungo una mano per appoggiarmi al mobile della cucina e rimanere in piedi.

– Qualcuno qui si è dimenticato che cos’è l’ospitalità! Hohoho! Ma che bambino cattivo… –

La voce è roca, forte, stridente. Mi ferisce le orecchie e mi blocca, terrorizzato. Riesco a malapena a non cadere a terra. Mentre sento che il rumore di trascinamento si avvicina alla porta della cucina, anche quello mi diventa impossibile e mi accascio, continuando a fissare davanti a me.

– Chiedo così poco, e dono così tanto. Perché nemmeno un po’ di premura per questo povero vecchio? –

I passi si avvicinano, e nella mia mente posso vedere chiaramente il sacco che si trascina dietro, pieno di doni, forse, ma anche di tante altre cose.

Mentre provo a rialzarmi, la voce riecheggia un’ultima volta, giusto al di fuori della porta.

– Adesso vedremo che cosa ricevono i bimbi cattivi e irriconoscenti. –

Poi entra, e l’ultima cosa che vedo è un incubo bianco e rosso e nero, fatto di denti e artigli e oscurità.

Dopo c’è solo dolore.

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