Dell’OZpitality

per Chuck P.

Uno dei mestieri che più spesso ti ritrovi a fare quando viaggi per il Regno di Oz è quello del servitore. Magari il lavoro è chiamato in altro modo, ma quello che sei rimane lo stesso anche se ha un nome diverso. Una volta mio papà faceva lo stradino: ora sarebbe chiamato operatore ecologico, ma i marciapiedi da spazzare restano sempre gli stessi.

Ad ogni modo quando viaggi e non ti fermi mai in una stessa città per più di tre mesi non puoi aspirare ad avere posti di lavoro interessanti. Il servitore rimane sempre una delle occupazioni più facili da trovare, che sia per fare le pulizie in camera, l’aiuto cuoco o il cameriere.

Molto spesso quello che uno fa è accettare ciò che trova e non andare tanto per il sottile. Peccato però che a volte questo sia una fregatura, visto che significa non avere contratti, essere pagati in nero e meno degli altri. C’è gente disposta a farlo, però. Va a capirli.

La scelta mi si è presentata davanti più volte, e più volte ho girato al largo da questa possibilità, scegliendo invece qualcosa di molto più interessante: il lavoro casual per un’agenzia. Quando definisco questa occupazione “interessante” lo faccio nel senso lato del termine: di sicuro si intende vario e con lati stimolanti, ma spesso si intende anche qualcosa che dà piacere quanto una pigna in culo.

Quando lavori per un’agenzia devi sottostare a certi standard di aspetto e di professionalità che variano però da luogo a luogo. Quando ho fatto questo lavoro a Cairns la cosa era fastidiosa solo certe volte, quando l’ho fatto a Sydney… un po’ più spesso.

Solo un esempio.

L’uniforme quando ero nel Nord del Regno di Oz era:

    • camicia bianca/nera – pantaloni neri – scarpe nere.

L’uniforme quando ero nel Sud del Regno di Oz era:

    • camicia bianca/nera – pantaloni neri – scarpe nere – gilet nero – cravatta nera – grembiule bianco/nero – vassoio.

Le bestemmie che tiri quando con trenta gradi all’ombra devi prendere vari mezzi pubblici vestito come un pinguino sono solo leggermente meno di quelle che tiri quando invece l’uniforme la indossi appena prima di arrivare sul posto. Sì, perché la richiesta è quella di arrivare sul luogo di lavoro in full uniform, per cui se non sei già vestito devi trovare un bagno pubblico e cambiarti là prima di presentarti. E’ in questi momenti che il numero di imprecazioni sfiora il record, quando in equilibrio instabile tenti di estrarre gli abiti dalla borsa e poi indossarli senza rovinare a terra tra il piscio e lo schifo.

Sydney poi è enorme. Partire da casa per andare al lavoro dall’altra parte della città ti occupa un mucchio di tempo. Per iniziare alle cinque esci alle tre. Se sei fortunato hai solo mezz’ora di strada, se non lo sei ti fai i tuoi bei novanta minuti di treno e/o bus, tra camminate sotto il sole cocente e di notte in compagnia di ubriachi e altra bella gente.

La cosa veramente interessante di questo lavoro però è la varietà di persone che incontri, sia per via dei colleghi che vengono da tutte le parti del mondo, sia per via dei clienti: passi dal lavorare per un Christmas Party per qualche decina di impiegati del Comune al servire in studi di avvocati in cima ai grattacieli del centro città. Vedi posti in cui non potresti entrare nemmeno pagando, grazie a questo lavoro. Vedi i dietro le quinte di eventi esclusivi, incontri pezzi grossi e pezzi meno grossi. Non mancano davvero le cose interessanti. In senso lato, appunto.

Sei in metro per l’ennesima volta e ti fai una dormita mentre aspetti che il treno arrivi a destinazione e tu possa andare a svolgere il tuo dovere.

Ti svegli e sei ad una festa aziendale. Il tema è Hollywood e tutti si devono vestire in costume.
Vedi una Jessica Rabbit così grassa da far temere che il pavimento collassi quando inizia a ballare.
Vedi Clint Eastwood prendersi un margarita al bar abbracciato a una Cleopatra d’annata. D’annata inteso nel vero senso della parola, perché la tipa avrà almeno sessant’anni.
Vedi una Lara Croft che ti fa girare la testa, poi ti accorgi che al suo fianco cammina un’altra Lara Croft, solo che quest’ultima è un uomo. Depilato. In shorts e canottiera attillata. E ti gira la testa per un altro motivo.
Vedi un tipo vestito da legionario romano che peserà quaranta chili con il costume addosso e ti chiedi perché uno così non si veste invece da Woody Allen.
Vedi il Joker, vedi Austin Powers, vedi Iron Man e Spider Man. Vedi due o tre Indiana Jones e un Batman in versione Fatman.
Ti viene da ridere la maggior parte del tempo, a pensare come qualcuno possa scegliere volontariamente un costume con cui sentirsi in imbarazzo per tutta la serata. Non è male come turno di lavoro.

Ti svegli e sei in un hotel a quattro stelle abitato da stereotipi. Mentre li ascolti parlare ti stupisci di come possano esistere davvero persone che pensavi vivessero solo in romanzi e film da quattro soldi.
C’è la manager asiatica che parla come una gerarca nazista e dà ordini come fossimo su un campo di battaglia. Quando le rispondi vaffanculo sorridendole lei non si scompone visto che non ti capisce, ma questo non ti toglie la soddisfazione di averglielo detto.
C’è anche il cuoco asiatico, quello con il coltellaccio in mano, che parla un inglese masticato e dall’accento pesante. Quello che nei film è sempre scorbutico e in una scena o nell’altra taglia la testa a una gallina. Io qui non vedo galline, ma penso che quelle che c’erano abbiano già tutte avuto la testa tagliata.
C’è il supervisor, nato e cresciuto ad Oz, che ti fa rendere grazie di essere qua già da tanto perché altrimenti non capiresti una parola. Fai comunque fatica e ti ci vuole un po’ a capire cosa vuol dire che il banchetto inizia alle seven furty. Per fortuna dopo ti allungano il programma. Sette e trenta.
Ce ne sono altri, di vario tipo, ma tu ormai sei convinto di sognare e non presti più attenzione a ciò che hai attorno.

Ti svegli e sei a una festa di laurea organizzata dall’università per i suoi laureandi in Make Up. Quando fai il briefing pensi che probabilmente hai capito male. Quando lo leggi sul foglio del programma pensi che sia riferito ad altro. Quando cominci ad ascoltare i discorsi della gente che va sul palco e vedi le immagini che passano sul megaschermo ti rendi conto che no, non hai capito male e sì, questi si sono laureati in Make Up.
C’è un corso di laurea in Make Up.
Ok, puoi sopravvivere a questa scoperta. Basta che non ci pensi troppo.

Ti svegli e sei alla presentazione del nuovo cd di vecchie glorie degli anni ottanta. Non sai se siano più patetici i capelli e le sopracciglia tinte o il fatto che si siano ridotti a bere acqua minerale. Nonostante tutto, fanno ancora un bel rock.

Ti svegli e sei ad una partita di cricket.

Ti svegli e sei alle corse delle macchine.

Ti svegli e sei in un country club infestato da riccastri, donne rifatte, uomini che si aggrappano alla giovinezza perduta, vecchi snob, giovani snob e bambini avviati a seguire la stessa strada. Tutta questa gente ti ispira un odio di classe da farti quasi capire che cosa voglia dire odio di classe. Quello che sei qua è davvero solo un servitore. Non un cameriere, non un F&B attendant, non un barista. Un servo dei ricchi, punto.
Ringrazi che sia domenica e che ti paghino quindi fior di quattrini all’ora per essere là, altrimenti una pisciata nella minestra non gliel’avresti davvero potuta negare.

Ti svegli ed è l’ultimo giorno dell’anno. Hai scelto di lavorare per poter essere nel miglior posto possibile per vedere i fuochi artificiali e nel frattempo essere anche pagato. Non hai sbagliato i tuoi calcoli e mentre vedi la gente accalcarsi una sull’altra dopo aver sborsato qualche centinaio di dollari a testa per essere là pensi: no, non c’è più speranza per il genere umano.

Ti svegli e sei ad una festa armena.
Ti dicono che è un Christmas party.
Tu controlli la data sull’orologio e no, non ricordavi male, è il 17 gennaio. Sono un po’ in ritardo, dice il tuo responsabile. A te non interessa: ti godi la serata e la gente che si mangia quintali di cibo e scola bottiglie su bottiglie di vino e amari. Almeno questi mangiano e bevono seriamente e ti danno un po’ di soddisfazione.

Ti svegli e non sei da nessuna parte. Hai perso la fermata per tornare a casa e ti stai dirigendo verso sobborghi mai sentiti e dai nomi pittoreschi.

Forse non dovresti dormire in treno, cazzo.

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